PIANO D'AZIONE NAZIONALE PER L'OCCUPAZIONE 1999

 

INTRODUZIONE: OBIETTIVI E STRATEGIA DEL PIANO DELL’OCCUPAZIONE 1999

Il mercato del lavoro italiano

Nel periodo 1996-98 la crescita media annua del PIL è stata in Italia dell’1.3%, inferiore di oltre un punto percentuale alla media dell’Unione Europea. La dimensione dell’aggiustamento fiscale la politica del cambio e il mantenimento di una politica monetaria più restrittiva della media europea sino al lancio dell’euro, hanno limitato la portata della ripresa avviatasi dopo il 1996. Il miglioramento del quadro macroeconomico derivante dalla caduta dell’inflazione, dal ristabilimento di condizioni d’equilibrio nei conti pubblici e dalla partecipazione alla moneta unica non ha ancora determinato maggiore crescita, anche per gli effetti di segno opposto provenienti dalla crisi internazionale. Per il 1999 è prevista una crescita del PIL intorno all’1.5%, che dovrebbe diventare più significativa, e prossima alla media dei paesi UE (intorno al 2.5%) soltanto nel 2000. Deboli e incerti sono tuttora i segnali di crescita nelle regioni meridionali, dov’è concentrata la disoccupazione; il Mezzogiorno è stato particolarmente colpito dalla restrizione fiscale degli anni novanta e dalle incertezze connesse con la lunga e complessa riforma delle politiche regionali (1992-96).

L’andamento dell’occupazione ha risentito negativamente di questo scenario. Dopo la notevole caduta dell’occupazione verificatasi nel 1992-94, il numero di persone occupate è rimasto stagnante fino a tutto il 1997. Nel 1998 sono tuttavia emersi alcuni segnali favorevoli:

- Vi è stata una significativa crescita dell’occupazione (circa 200.000 persone, intorno all’1%, tra il gennaio 1998 e il gennaio 1999) nonostante l’evoluzione poco soddisfacente del PIL. Lo sviluppo positivo sembra riflettere una composizione della crescita più orientata al settore dei servizi, e i primi probabili effetti delle misure di flessibilizzazione del mercato del lavoro introdotte dalla legislazione, specie con il "Pacchetto Treu" del 1997, e dalla contrattazione collettiva.

- E’ cresciuta in particolare del 2,5% (180.000 unità) l’occupazione femminile, che nel gennaio 1999 era pari al 36,7% dell’occupazione totale, in confronto al 34,1% del 1989.

- E’ cresciuta l’occupazione, sia dipendente sia autonoma, a part-time; del 13,8% (187.000 persone) tra gennaio 1998 e gennaio 1999, pur rappresentando ancora solo il 7,7% dell’occupazione complessiva.

 

Gli obiettivi strategici

Questi segnali favorevoli non sono però sufficienti a modificare un quadro generale che permane negativo e che richiede un’azione di riforma su un orizzonte pluriennnale. Questa azione sarà condotta nell’ambito della strategia condivisa con i partner comunitari e articolata sui 4 pilastri e sulle 22 Guidelines concordate.

L’azione di riforma terrà naturalmente conto delle grandi differenze esistenti fra il mercato del lavoro italiano e quello di molti partner comunitari. In molti paesi europei, i problemi più rilevanti sono legati a persone divenute disoccupate in fasi recessive e rimaste poi negli ingranaggi di politiche passive di sostegno al reddito. In Italia queste situazioni interessano una percentuale ridotta di popolazione, soprattutto lavoratori più anziani. Il problema più rilevante è rappresentato dalla bassa occupazione dei più giovani e, in generale, delle donne.

La specificità maggiore del mercato del lavoro italiano è poi la dimensione dei divari regionali. Tutti gli indicatori standard di performance sono peggiori nel Mezzogiorno rispetto al resto del paese. La disoccupazione è circa il triplo di quella del Centro-Nord, 22,8% contro 7,4% nella media 1998; al suo interno contano di più le lunghe durate (che sono i tre quarti del totale); essa raggiunge picchi elevatissimi tra i giovani (56,5%) e le donne (31,8%). La partecipazione al lavoro è così ristretta e le attività dell’economia sommersa sono così diffuse che l’occupazione "regolare" è esperienza che interessa solo una minoranza della popolazione meridionale, specie femminile.

Le differenze regionali sono soltanto in parte differenze d’intensità di fenomeni simili. In parte sono invece da riconnettere all’operare di due diversi modelli di funzionamento del mercato del lavoro. Il Mezzogiorno, nonostante stiano emergendo significative differenze interne, è un’area in ritardo di sviluppo e a più bassa produttività, in gran parte dovuta a diseconomie di contesto; produttività spesso più bassa anche rispetto ai livelli salariali correnti.

In questo quadro, la complessiva strategia italiana per l’occupazione mira a due principali obiettivi.

Il primo obiettivo è aumentare il contenuto di occupazione della crescita economica e in particolare accrescere le chances occupazionali per quei gruppi sociali (giovani, donne e più anziani) sotto-rappresentati nel mercato del lavoro in tutto il paese. Questo può essere ottenuto con un’attenta applicazione dei pilastri della strategia lanciata a Lussemburgo, integrando azioni dal lato della domanda e dell’offerta di lavoro, e per il miglior funzionamento del mercato.

Dal lato della domanda,cardine della strategia del Governo sono incisive e ampie liberalizzazioni, coerenti con le indicazioni comunitarie, nei mercati dei beni e dei servizi .Si tratta in particolare di assecondarela crescita del settore dei servizi (gl. 13) ma anche di potenziare l'economia sociale (gl. 12). Dal lato dell’offerta, si tratta di concentrare l’azione sui giovani, le donne, i più anziani. Per i giovani, il nodo fondamentale è nella transizione tra scuola e lavoro (gl. 7-8), da facilitare favorendo l’incontro tra domanda ed offerta e prevedendo un continuum di esperienze lavorative e formative, anche parziali, che possano tra loro integrarsi (gl. 1). Per le donne, si tratta di favorirne la partecipazione con un’azione a largo spettro (gl. da 19 a 22). Per i più anziani, si tratta di favorire il reimpiego attraverso la riqualificazione professionale, così come forme di fuoriuscita graduale e posticipata, rispetto alle tendenze attuali, dal mercato (gl. 2-6). Occorre affiancare le misure preventive e di inserimento dei giovani alle azioni di re-inserimento dei disoccupati di lunga durata (gl 1). Si tratta di innalzare il livello di scolarizzazione e di formazione complessivo della forza lavoro (gl. 6-7-8). Ma si tratta anche di rendere più flessibile il funzionamento del mercato del lavoro. E di accelerare una efficace strategia preventiva, sia migliorando l’azione pubblica, sia dando maggiori spazi all'iniziativa privata, con efficienti servizi decentrati per l’impiego, pubblici e privati (gl. 1-2).

Le azioni da intraprendere sono molteplici. Uno dei principali obiettivi cui mira il Governo è l’aumento del part-time (gl. 17). Il Governo ha come obiettivo, nel periodo 1999-2003, di aumentare significativamente il peso del part-time, così da avvicinare l’Italia al valore della media europea (16,9%). Il part-time può infatti facilitare la crescita della partecipazione e dell’occupazione di quei gruppi oggi poco presenti sul mercato. Con le recenti misure di incentivazione, il Governo stima di poter accrescere nel 1999 l’occupazione complessiva di almeno 100.000 unità. Questo porterà a fine 1999 il peso del part-time sul totale dell’occupazione intorno all’8% (dal 7,3% nel 1998).

Il secondo obiettivo è determinare una sostenuta crescita economica nelle regioni a più alta disoccupazione. La strategia italiana per l’occupazione coincide in parte rilevante con la strategia per lo sviluppo del Mezzogiorno. In questi casi l’azione preventiva coincide in parte rilevante con la creazione di nuove imprese, con la loro crescita dimensionale e con il conseguente aumento della domanda di lavoro.

I pilastri della strategia del Lussemburgo vanno applicati in Italia con un’attenzione straordinaria agli aspetti locali e regionali. Si tratta di applicare nel Mezzogiorno, in maniera più attenta e intensa, tutte le misure descritte. Di promuovere e rafforzare in modo particolare le misure per l’autoimprenditorialità (gl. 11), per l’emersione dell’economia sommersa (lì particolarmente ampia); per lo sviluppo accelerato di sistemi economici locali industriali e terziari; di coordinare strettamente le politiche per il lavoro alle complessive politiche di sviluppo, e in particolare alla "Nuova programmazione" degli investimenti pubblici (gl. 12).

Il Governo ha come obiettivo di giungere progressivamente nel 2004 a un tasso di crescita nel Mezzogiorno significativamente superiore a quello medio dell’Unione Europea, così come indicato nel documento-quadro per la programmazione dei fondi strutturali "Orientamenti per il programma di sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006". Ciò è condizione per un forte aumento dell’occupazione regolare del Mezzogiorno, tale da comportare l’aumento dei tassi di attività, la riduzione del lavoro sommerso, la compressione della disoccupazione e del disagio sociale.

Sintesi di questi due indirizzi è l’obiettivo dell’aumento del tasso di partecipazione (soprattutto femminile) e di occupazione complessivo nell’intero paese.

 

Principali contenuti del Piano dell’Occupazione 1999

Il Piano per l’Occupazione 1999 si muove lungo un duplice binario. Esso rende espliciti obiettivi e azioni per il 1999, ma delinea anche una strategia pluriennale, che si raccorda con quella più complessiva di politica economica e di riforma della macchina amministrativa. Il Piano per l’Occupazione 1999 si inserisce infatti nella strategia pluriennale di politica economica del Governo italiano. Esso si raccorda: con le misure di politica economica del Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF); con il Piano Pluriennale delle Attività in materia in tema di istruzione, formazione, ricerca e trasferimento tecnologico (Master Plan); e con i documenti preparatori per la programmazione dei Fondi Comunitari 2000-2006. Gli obiettivi in termini di crescita dell’occupazione che il Governo si dà saranno quindi progressivamente definiti nel corso del 1999, in coerenza con le indicazioni di scenario contenute nel DPEF e con gli impatti occupazionali che scaturiranno dalla programmazione operativa dei Fondi Strutturali comunitari per il periodo 2000-2006.

L’azione di politica economica del Governo mira alla riduzione del carico fiscale e contributivo, in particolare di quello sul lavoro (gl. 14), anche attraverso il rafforzamento della lotta all'evasione fiscale e contributiva. Tale riduzione non potrà che avvenire gradualmente e compatibilmente con le risorse disponibili. Nel 1999, tuttavia, sono stati già ridotti dello 0,82% gli oneri che gravano sul costo del lavoro. In maniera speculare, l'azione del Governo mira a riorganizzare e riqualificare la spesa pubblica. Nel corso del 1999, in attuazione di una apposita delega parlamentare, si procederà a una profonda riforma del sistema degli ammortizzatori sociali e degli incentivi all’occupazione, volta tra l’altro a correggere evidenti squilibri equitativi tuttora esistenti e a razionalizzare e semplificare l’intera materia (gl. 4).

Nuove opportunità per l'occupazione vengono dalla riforma delle amministrazioni e delle procedure pubbliche, che sta procedendo a partire dal 1997 con l’obiettivo di ridurre in particolare i costi e le complessità amministrative per le imprese (gl. 10). Nuove opportunità derivano inoltre dalla decisa azione di revisione regolamentare di importanti settori dei servizi, quali il commercio e i servizi pubblici locali (gl. 13). Un cardine della strategia del Governo è in incisive e ampie liberalizzazioni, coerenti con le indicazioni comunitarie, nei mercati dei beni e dei servizi.

Il Piano per l’Occupazione 1999 si inserisce nell’ambito della concertazione con le parti sociali (gl. 5). Già gli accordi raggiunti nel luglio 1992,nel luglio 1993 e nel settembre 1996 avevano rafforzato la "cultura della stabilità" e facilitato sia l'attuazione delle politiche economiche, sia l’introduzione di significative riforme nelle politiche del lavoro. E’ proprio al fine di rafforzare questo specifico ruolo della concertazione che nel dicembre 1998 un nuovo Patto è stato siglato dal Governo e da un ampia gamma di parti sociali, ed è poi stato ratificato dal Parlamento. Un grande sforzo è in atto per implementare le iniziative concordate nel Patto. Al di là dei singoli interventi individuati nel documento siglato in dicembre, descritti nelle singole Guidelines, il Patto rappresenta un metodo per affrontare le specifiche questioni da risolvere, anche attraverso un maggior decentramento e radicamento della pratica della concertazione. Paiono opportune in particolare le esperienze di contrattazione decentrata, specie laddove esse possono meglio allineare le dinamiche dei salari e della produttività, consentendo un complessivo incremento dell’occupazione.

Il metodo della concertazione sociale, consolidatosi con il Patto del dicembre 1998, ha consentito di pervenire alla redazione di questo Piano in uno spirito di intensa collaborazione e consultazione. Le Parti sociali sono state ampiamente ascoltate nel corso della redazione dal Governo, che ha ritenuto di poter accogliere i più significativi contributi da esse proposti.

Mentre la pratica della concertazione è un chiaro punto di forza della strategia italiana, la performance della Pubblica amministrazione è un chiaro punto di debolezza. Il governo ne ha piena consapevolezza ed è impegnato in un profondo, complesso processo di riforma. Questa debolezza impone una gradualità nel passaggio a un approccio attivo e preventivo delle politiche del lavoro. Infatti, nel disegno delle strutture necessarie a questo scopo, l’Italia si trova ancora in una fase di transizione, in particolare per quanto riguarda i servizi per l’impiego. Muovendosi in un’ottica pluriennale, il Piano per l’Occupazione 1999 contiene perciò sia gli impegni e gli obiettivi raggiungibili nell’attuale assetto amministrativo, sia le linee per riformarlo (gl. 1-2-3-4).

Parte centrale di questa riforma è il processo di decentramento. Le Amministrazioni Regionali italiane stanno acquisendo la titolarità e rafforzando l’azione in tema di politiche attive del lavoro, di servizi per l’impiego e di formazione (gl. 1-2-3-4). Nel corso del 1998 la quasi totalità delle Regioni ha adottato le leggi di recepimento delle competenze loro trasferite in materia di mercato del lavoro. E’ dunque iniziato un importante processo di riorganizzazione finalizzato, da un lato, a ricomporre i diversi operativi (formazione, orientamento, politiche per l’avviamento e l’inserimento al lavoro); dall’altro, a realizzare la gestione delle azioni negli ambiti territoriali più idonei. Molte Regioni hanno predisposto (o intendono predisporre nel prossimo futuro) Piani Regionali per l’Occupazione, strumenti di programmazione per l’intervento sul mercato del lavoro, per programmare con riferimento ai quattro pilastri tutte le risorse finanziarie disponibili per il finanziamento delle politiche del lavoro. Anche per questo motivo, il Piano dell’Occupazione è attento a valorizzare le migliori esperienze su base locale, anche per favorirne una loro diffusione interregionale; e indica in diverse aree la necessità di azioni e misure sperimentali, che consentano di tarare progressivamente al meglio le azioni sulle realtà locali.

Questo processo si intreccia con quello di liberalizzazione dei servizi di job placement, che consente l’introduzione di servizi privati di collocamento ordinario e lo sviluppo delle società di lavoro temporaneo (gl. 1-2). In questo campo il Governo intende: a) rimuovere gli ostacoli che si frappongono ancora a una piena operatività di questi strumenti, per favorire un loro più ampio sviluppo in particolare nelle aree a maggiore disoccupazione; b) superare le carenze dell’azione pubblica; c) determinare utili elementi di complementarità e di concorrenza con le stesse strutture pubbliche.

L’Italia presenta livelli ancora insufficienti di scolarità e di formazione della forza lavoro. Il Governo mira a: a) migliorare la qualità del sistema scolastico e integrarlo con il mondo del lavoro (gl. 7-8); b) incrementare la formazione continua e per gli adulti (gl. 6); c) avviare una profonda riforma del sistema della formazione professionale, con una ulteriore valorizzazione del ruolo programmatorio delle Regioni (gl. 8). L’impegno in questa direzione è ribadito dal Patto sociale.

L'Italia presenta divari occupazionali di genere maggiori rispetto alla media europea. Il governo mira a garantire pari opportunità di lavoro a uomini e donne, attraverso: 1) il rafforzamento del mainstreaming (gl.19); 2) misure specifiche per l'aumento dell'occupazione femminile (gl.20); 3) nuove, incisive misure in tema di conciliazione fra lavoro, vita familiare, formazione e tutela della maternità.

Le iniziative descritte in questo Piano si inseriscono poi in particolare nella strategia della "Nuova Programmazione" lanciata dal Governo italiano, nel rilancio cioè delle politiche di sviluppo del Mezzogiorno (gl. 12). E’ soprattutto in queste regioni che gli obiettivi di sviluppo economico e di una maggiore occupazione devono procedere di pari passo. Questo può essere ottenuto con una stretta interazione tra le iniziative dei diversi Ministeri; in questo senso, strategie di sviluppo locale, che prevedano l’uso del Fondo di Sviluppo Regionale, e iniziative incluse nel Piano in parte finanziate a valere sul FSE, devono essere strettamente integrate. Nell’ambito di questa strategia di più lungo periodo, il FSE (specie per quanto riguarda la Programmazione 2000-2006) deve finanziare in misura assai rilevante le politiche preventive e attive dell’impiego (gl. 1-2-3-4). Le priorità per la programmazione del FSE sono: a) potenziare con un’azione straordinaria le strutture pubbliche dei servizi per l’impiego, in particolare nel Mezzogiorno (gl. 1-2); b) integrare le iniziative finanziate dal FSE con la gestione dei servizi per l’impiego (gl. 1-2); c) integrare azioni di formazione professionale propriamente detta e iniziative in tema d’istruzione di base, prestando attenzione ai percorsi formazione-lavoro e mirando a incrementare il più possibile l’acquisizione di esperienze lavorative (continuando nella strada già intrapresa in molte realtà locali) (gl. 6); d) raccordare strettamente, nelle regioni di cui all’Obiettivo 1 e 2, le iniziative formative finanziate con il FSE con le azioni di sviluppo locale (in particolare con gli strumenti della programmazione negoziata) e con i nuovi investimenti pubblici (gl. 12). Per le azioni formative e di sistema le priorità saranno stabilite nel piano pluriennale per il sistema integrato di istruzione, formazione, ricerca e trasferimento tecnologico (Master Plan).

Le Regioni avranno piena titolarità degli aspetti strategici e programmatori delle misure finanziate dal FSE. La programmazione presterà la massima attenzione alla necessità di monitoraggio e di valutazione delle iniziative intraprese, mirando a ottenere condizioni di massima concorrenzialità nell’allocazione delle risorse, specie per la formazione professionale.

Come messo in luce anche dalle valutazioni comunitarie al Piano per l’Occupazione 1998, in Italia la capacità di monitoraggio e di valutazione delle politiche è ancora limitata. Obiettivo centrale del Piano per il 1999 è rafforzarla. Già nel corso della predisposizione del Piano è stato avviata una iniziativa coordinata di monitoraggio sulla spesa e sui beneficiari delle politiche, che sarà resa permanente. Il rafforzamento del monitoraggio è strettamente associato con il processo di decentramento. Il nuovo sistema d’intervento dovrà esser caratterizzato da una logica di continua sperimentazione, valutazione dei risultati ed estensione delle migliori pratiche e iniziative, anche introducendo opportuni incentivi per le realtà locali che conseguano i risultati più soddisfacenti.

 

I. MIGLIORARE L'OCCUPABILITÀ

I gruppi sociali con i maggiori problemi di occupabilità sono in Italia le donne, i giovani e gli anziani. I problemi sono particolarmente gravi: a) per i divari regionali, dovuti all'insufficiente livello di sviluppo del Mezzogiorno; b) per la scarsa mobilità territoriale del fattore lavoro; c) per l'insufficiente livello degli investimenti nel Mezzogiorno.

La quota di disoccupati di lunga durata (oltre 12 mesi) è tra le più alte dell’Unione Europea. Diversamente da molti altri paesi membri, si tratta in prevalenza di giovani alla ricerca di prima occupazione. Le difficoltà di inserimento riguardano soprattutto la transizione tra scuola e lavoro. In assenza di sostegni al reddito per il giovane che cerca occupazione (l’indennità di disoccupazione copre quasi esclusivamente chi ha perso un lavoro stabile), l’eccessiva durata della ricerca non dipende dalle politiche passive.

Bassi livelli di formazione, scarso utilizzo del part-time, poco efficaci servizi all'impiego sono i principali fattori che comprimono il tasso di occupazione degli anziani. Il tasso di disoccupazione di queste fasce va peraltro aumentando, per cui, sebbene esse costituiscano ancora una parte ridotta della disoccupazione, il fenomeno appare preoccupante.

GL1. Affrontare la disoccupazione giovanile e prevenire la disoccupazione di lunga durata Per frenare l'evoluzione della disoccupazione giovanile e della disoccupazione di lunga durata gli Stati membri intensificheranno i loro sforzi volti a elaborare strategie preventive imperniate sull'occupabilità, basandosi sull'individuazione precoce delle esigenze individuali; entro un termine che sarà fissato da ciascuno Stato membro e che non può essere superiore a quattro anni - termine che può essere più lungo per gli Stati membri con un tasso di disoccupazione particolarmente elevato - essi provvederanno: 1. a offrire a ogni giovane, prima ce siano trascorsi sei mesi di disoccupazione, la possibilità di ricominciare con un'attività di formazione o di riqualificazione professionale, con la pratica lavorativa, con un lavoro o altra misura che ne favorisca l'inserimento professionale.

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

Disoccupazione di lunga durata e disoccupazione giovanile sono in Italia fenomeni che coincidono largamente. Secondo la rilevazione sulle forze di lavoro, è disoccupato da oltre 12 mesi circa il 70% dei giovani che cerca lavoro. Dato che i giovani hanno un livello di scolarità mediamente più elevato, circa il 50% della disoccupazione di lunga durata è composta da persone con diploma secondario superiore o con laurea. Il rischio di disoccupazione è strettamente legato al sesso e alla zona di residenza. Un disoccupato su due è di sesso femminile. Tre disoccupati su cinque (e due disoccupati di lunga durata su tre) vivono nel Mezzogiorno. Le misure per l’occupazione nelle aree meridionali devono perciò intrecciarsi strettamente con quelle di sviluppo regionale (gl. 12); allo stesso tempo, devono utilizzare anche gli strumenti che favoriscono la mobilità territoriale volontaria. Vi è una maggiore disponibilità dei disoccupati meridionali a spostarsi: fra il 1993 e il 1998 la quota di chi accetterebbe di lavorare fuori dal comune di residenza è salita dal 25% al 35% (indagine Istat sulle forze di lavoro).

Nel campo delle politiche attive, i risultati ottenuti rispetto agli obiettivi del Piano 1998 sono stati differenziati tra strumenti e tra aree geografiche. (Alcuni dati sull’implementazione delle iniziative sono riportati nella gl.3.)

I colloqui di orientamento secondo le rilevazioni condotte nelle realtà regionali dopo circa 8 mesi di effettiva realizzazione hanno coinvolto 110.000 giovani (55% di quanto preventivato su base annua) di cui metà residenti nel Mezzogiorno. Le difficoltà connesse all’effettivo inizio del processo di decentramento e un elevato rapporto fra giovani disoccupati e funzionari dei servizi nelle regioni del Sud, hanno rallentato la fase attuativa.

 

Colloqui di orientamento per giovani (< 25 anni), 1998
Area geografica
Numero
Italia nord-occidentale
18.483
Italia nord-orientale
14.386
Italia centrale
19.787
Italia meridionale
57.734
TOTALE
110.390

 

Un importante canale di inserimento al lavoro sono stati i contratti di lavoro con contenuto formativo. Nel 1998 più di 290.000 giovani (di cui il 68% nel Nord) sono stati avviati al lavoro con un contratto di apprendistato. In conseguenza di questi avvii, lo stock di individui aventi in corso a fine anno un contratto di apprendistato è aumentato di circa 32.000 unità, a fronte di una previsione di 50.000. Nel 1998, inoltre, i dati di flusso indicano che i contratti di formazione e lavoro hanno interessato più di 260.000 persone (54% nel Nord) contro le 280.000 del 1997 Si può stimare che i giovani avviati al lavoro con contratto di apprendistato prima dei sei mesi di disoccupazione ammonti a oltre 170.000.

Un numero crescente di iniziative rivolte all’inserimento nel lavoro dei giovani viene attuato dalle Agenzie per l’impiego regionali che, anche in collegamento con le amministrazioni provinciali, sperimentano azioni nelle singole aree territoriali, come momento preliminare al trasferimento in corso delle competenze nei servizi per l’impiego.

L’agenzia per l’Impiego di Trento ha svolto colloqui di orientamento (coinvolgendo un giovane disoccupato su cinque). Tra le iniziative offerte a questi giovani di particolare interesse è un sussidio per limitare gli abbandoni dalla scuola secondaria superiore. Questo programma prevede infatti un trasferimento di 5 milioni di lire ai datori di lavoro che consentano ai loro apprendisti privi di un diploma superiore di usufruire di alcune ore addizionali di formazione per completare il loro ciclo di studi secondario. Diverse agenzie per l’impiego (es. Veneto, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Trento) hanno sviluppato autonomamente un software applicativo in grado di aggiornare on-line l’anagrafe delle richieste di lavoro delle imprese, che possono essere messe a confronto con le caratteristiche delle persone in cerca di occupazione iscritte al collocamento locale. Le informazioni in genere distinguono per qualifica, livello di studio, età, luogo di residenza, e possono essere consultate dai disoccupati e dalle imprese presso gli uffici di collocamento.Molte Regioni hanno varato nel 1998 appositi programmi di rafforzamento delle attività di orientamento. Cinque Regioni (capofila la Regione Friuli) in accordo con il Ministero del Lavoro hanno realizzato un sistema informativo integrato per la gestione delle diverse funzioni del servizio per l’impiego (adempimenti amministrativi, intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, orientamento, vigilanza). L’Emilia Romagna ha predisposto corsi di formazione e specializzazione per i funzionari degli uffici del collocamento pubblico, finalizzati allo sviluppo delle tecniche di orientamento, selezione e intermediazione domanda-offerta. Per favorire l’incontro tra giovani e imprese le Regioni hanno dedicato risorse alla promozione di tirocini di orientamento; molte iniziative di supporto si sono realizzate nel Centro-Nord, ma senza restrizioni alla partecipazione ai programmi da parte di giovani residenti in altre aree: gli sportelli stage della Lombardia sono ad esempio ampiamente pubblicizzati per raggiungere i giovani su tutto il territorio nazionale. Emilia Romagna e Veneto hanno organizzato un collegamento tra le associazioni imprenditoriali locali e uffici per l’impiego in aree meridionali per favorire l’inserimento di giovani nei loro Programmi di inserimento professionale.

Prospettive per il 1999 e oltre

Per incrementare l'occupazione da parte dei giovani e degli altri gruppi su cui si concentra la disoccupazione, il Governo intende riallocare risorse verso le politiche attive e adottare un approccio di tipo preventivo.

Per raggiungere questi obiettivi, è necessario disegnare una strategia a due stadi. Nel 1999 saranno varate misure per aumentare le opportunità di impiego per i giovani, mentre nel prossimo quadriennio andrà gradualmente a regime un completo sistema di politiche attive di tipo preventivo che dia completa attuazione alla strategia condivisa con i partner comunitari.

Questi obiettivi comportano il completamento del decentramento dei Servizi pubblici per l’impiego, per il quale il Patto sociale ha fissato come termine il 1° luglio 1999. Il Governo, le Regioni e le autonomie locali concordano nel ritenere che l’azione dei servizi decentrati debba essere ispirata a un approccio preventivo.

Il Governo attuerà nel corso del 1999, nell’ambito del processo di decentramento, mediante un decreto in fase di definizione d’intesa con le Regioni e le parti sociali, una riforma del collocamento.

Essa si caratterizzerà, in coerenza con gli orientamenti della strategia comunitaria, per le seguenti linee operative: istituzione di un elenco anagrafico delle persone in cerca di lavoro, organizzato con criteri omogenei a livello nazionale, contenenti dati personali e professionali dei lavoratori; rilascio di una scheda professionale coerente con il sistema dell’istruzione e della formazione professionale, contenente le informazioni relative alle esperienze lavorative, alle propensioni e disponibilità dei lavoratori; predisposizione di una ‘carta elettronica del lavoratore’ che consentirà l’inserimento e l’aggiornamento del proprio curriculum la consultazione delle ricerche di personale, delle offerte formative e di orientamento, la manifestazione di disponibilità ad offerte di impiego, a tirocini, corsi di formazione, a bandi di concorso o di selezione; abolizione delle tradizionali liste di collocamento (in conseguenza della creazione dell’elenco anagrafico), e superamento del sistema di diritti e obblighi collegato alla semplice iscrizione alle liste; introduzione di una definizione di ‘stato di disoccupazione’, coerente con le definizioni (statistiche) adottate a livello europeo..

La riforma prevede che i Servizi per l’impiego dovranno orientare la propria azione in modo tale da rafforzare l’approccio preventivo alla disoccupazione. In particolare attivando per i giovani, entro 6 mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, colloqui di orientamento mirato; agli adulti verranno proposte, entro i 12 mesi di disoccupazione, iniziative di inserimento lavorativo o di formazione.

Per sostenere questo processo, il Governo ha avviato un piano straordinario di riqualificazione del personale (le Caravelle) finanziato in parte con le risorse del FSE, principalmente finalizzato alle regioni meridionali. Altre iniziative di rafforzamento delle strutture dei Servizi pubblici per l’impiego nelle regioni Obiettivo 1 sono collegate alle misure per la mobilità regionale dei giovani, che verranno attuate già nel 1999 e che prevedono forme di collaborazione tra Centri per il lavoro di diverse regioni. Il Governo intende sostenere questi programmi, ed in generale le iniziative di collaborazione e di gemellaggio fra i servizi per l’impiego di diverse Regioni, svolgendo un ruolo di coordinamento.

Il preesistente modello dei servizi per l’impiego, chiamato a svolgere soprattutto procedure di certificazione, ha incontrato crescenti difficoltà nel fornire una gamma di effettivi servizi. Pur con eccezioni importanti, i tradizionali uffici di collocamento si sono rivelati inadatti a svolgere azioni mirate alle caratteristiche dei disoccupati e alle specificità del contesto. Il potenziamento dei Servizi per l’impiego si basa sul decentramento alle Regioni delle competenze in materia, e su una diffusa organizzazione di Centri per il lavoro a livello territoriale. La regionalizzazione è un cambiamento importante nell’intervento pubblico, anche perché le stesse Regioni hanno realizzato negli ultimi anni sperimentazioni innovative nel campo delle politiche del lavoro. I Servizi per l’impiego sono comunque chiamati ad assolvere compiti crescenti, poiché una larga parte dell’azione preventiva deve realizzarsi attraverso l’erogazione all’utenza di azioni di orientamento personalizzato, in primo luogo per la ricerca di lavoro, ma anche per l’inserimento in opportunità formative adeguate alle caratteristiche degli individui, in particolare di quelli più giovani interessati dalla nuova normativa sull’obbligo formativo fino a 18 anni (gl 5, 8). Non tutte le realtà locali sono tuttavia attrezzate in eguale misura, specie nelle aree dove c’è maggiore disoccupazione.

 

Sono già in grado di effettuare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro 350 sportelli attivi per i servizi all’impiego sui 500 previsti, collegati tra loro in rete, nonché con gli operatori privati. Entro la metà dell’anno 2000 il nuovo Sistema informativo lavoro (SIL) che sarà a disposizione sia del sistema pubblico che delle agenzie private di collocamento. Saranno così superati i limiti del sistema attuale (Netlabor), che non prevede la raccolta dei dati sui posti disponibili, non è aggiornato in tempo reale e opera soltanto a livello regionale.

Il potenziamento dei Servizi pubblici all’impiego procede di pari passo con lo sviluppo dei servizi privati di collocamento e di lavoro interinale, che il Governo intende ulteriormente favorire. Il monopolio pubblico del collocamento è stato superato nel dicembre 1997 con un atto normativo che ha riconosciuto che una importante funzione può essere svolta dagli operatori privati. Di conseguenza, l’attività di intermediazione può essere svolta da imprese con requisiti minimi obbligatori. Per essere autorizzati, questi soggetti sono tenuti a comunicare agli organi pubblici di vigilanza le notizie fondamentali rispetto all’attività svolta e a fornire, attraverso un collegamento in rete, i dati relativi alla domanda e all’offerta di lavoro, in modo da contribuire direttamente allo sviluppo del SIL.

Importanti sviluppi sono attesi anche dalle agenzie per il lavoro interinale. Esse, nel primo anno di attività, hanno già messo in luce un’apprezzabile capacità di iniziativa: circa 52.000 persone contro le 20.000 previste dal Piano 1998. Il Governo è impegnato a promuovere l’effettiva coesistenza tra soggetti privati e strutture dei Servizi pubblici all’impiego, e a rimuovere ogni ulteriore ostacolo amministrativo all'opera dei servizi privati. Sono pertanto allo studio misure volte a utilizzare le competenze delle agenzie per il lavoro interinale anche nel collocamento ordinario.

Una parte delle opportunità di impiego per i giovani proviene anche dalla diffusione delle forme contrattuali a orario ridotto e a tempo determinato. La propensione dei disoccupati ad accettare impieghi a tempo parziale è aumentata dal 19% nel 1993 al 24% nel 1998, (nel Sud la disponibilità dei giovani e delle donne al lavoro parziale è aumentata negli ultimi tre anni di quasi un terzo). Il Governo intende quindi sostenere maggiormente già nel 1999, con incentivi e azioni che assecondino le tendenze in atto, questi inserimenti graduali nel lavoro. Ciò avverrà attraverso: 1) l’incentivazione dei contratti a tempo parziale per i giovani che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro, attraverso riduzioni contributive (gl. 17); 2) lo sviluppo dei programmi di apprendistato (gl. 7-9), con una maggior integrazione con i percorsi formali di studio e facendo leva su una semplificazione delle procedure amministrative; 3) incentivi alla mobilità regionale dei giovani del Mezzogiorno, per esperienze di lavoro.

 

GL2. a offrire anche ai disoccupati adulti, prima che siano trascorsi dodici mesi di disoccupazione, la possibilità di ricominciare con uno dei mezzi succitati o, in generale, con un orientamento professionale individualizzato. Queste misure preventive e di inserimento dovrebbero essere combinate con misure di reinserimento dei disoccupati di lunga durata.

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

In Italia la disoccupazione degli adulti è una percentuale modesta del totale. Al suo interno è però in crescita la componente di lungo periodo. Nel 1998 risultavano disoccupati da oltre 12 mesi 250.000 persone con più di 40 anni, a fronte dei 200.000 del 1995. All’interno di queste fasce d’età si evidenziano problemi legati alla scarsa formazione professionale e, per alcuni gruppi, anche all’effetto disincentivante delle integrazioni al reddito svincolate da effettive azioni di reinserimento. A differenza dei giovani in cerca di prima occupazione, una quota di adulti disoccupati di lungo periodo riceve forme di sostegno al reddito. L’esistenza di questi sussidi, in assenza di misure attive per il reinserimento, ha avuto un ruolo rilevante nel prolungare i tempi della ricerca di lavoro.

In senso contrario hanno agito gli incentivi per le imprese che assumono soggetti che beneficiano di trattamenti di integrazione al reddito (indennità di mobilità e cassa integrazione straordinaria). Questa misura, pur mirata ad evitare la permanenza nello stato di disoccupazione, non ha sempre prodotto risultati soddisfacenti: ha spesso favorito lavoratori con maggiori possibilità di reimpiego, mentre i soggetti più difficili da reinserire sono rimasti a carico del trattamento, contribuendo talora ad alimentare l’economia sommersa con prestazioni di lavoro non registrate.

Un altro strumento tradizionale di intervento è costituito dai lavori socialmente utili (LSU), progetti di lavoro delle pubbliche amministrazioni che negli anni ‘90 hanno erogato sostegni a favore di disoccupati di lunga durata i quali avevano superato il periodo previsto per i trattamenti di integrazione. Si tratta di uno strumento destinato a esaurirsi perché poco efficace nel riavvicinare i soggetti coinvolti al mercato normale del lavoro. Sono state previste forme di sgravio contributivo per incentivare l’assunzione dei soggetti in questione ed è stata costituita una società di promozione di iniziative per l'occupazione a partecipazione pubblica (Italia lavoro), che a fine marzo 1999 aveva impiegato 2380 lavoratori in società miste a tal fine costituite.

Nel 1998 interventi finalizzati a favorire il reinserimento lavorativo degli LSU sono stati intrapresi da numerose Regioni. L’impegno finanziario nel 1999 sarà rafforzato in particolare attraverso incentivi per la costituzione di società cooperative nei settori di servizio alla collettività e di interesse per gli enti locali.

In aggiunta agli strumenti preesistenti, nel 1998 sono state introdotte: 1) borse di lavoro, della durata massima di un anno, finalizzate al temporaneo inserimento di persone fino a 32 anni, residenti nel Mezzogiorno e in regioni dove il tasso di disoccupazione è maggiore della media nazionale, e iscritte al collocamento da almeno 30 mesi; 2) progetti per lavori di pubblica utilità (LPU), tesi a fornire una via d’uscita alla condizione di assistiti di lunga durata, attraverso la promozione dell’autoimprenditorialità e facendo leva in particolare sul terzo settore e sull’economia sociale (gl. 11-12). L’obiettivo era di introdurre uno schema di job-creation che, seppure straordinario e mirato a una platea non coincidente, potesse gradualmente sostituire gli schemi di LSU, che offrivano minori incentivi al reinserimento e all’autoimpiego.

Il programma straordinario delle interviste di orientamento al lavoro (gl. 1) era esteso anche agli individui con più di 25 anni. Le persone da intervistare erano stimate dal Piano 1998 in circa 300.000 iscritti al collocamento, su base annua. Gli individui contattati sono stati 125.000, dopo circa 8 mesi di realizzazione; anche in questo caso le difficoltà incontrate hanno rallentato la fase attuativa, specie nelle regioni del Mezzogiorno.

 

 

Colloqui di orientamento per adulti (> 25 anni), 1998
Area geografica
Numero
Italia nord-occidentale
22.608
Italia nord-orientale
14.129
Italia centrale
21.422
Italia meridionale
67.170
TOTALE
125.329

 

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Azioni per i disoccupati adulti sono state già descritte nella Guideline 1 (riforma dei Servizi all’impiego). Le linee di riforma degli strumenti d’incentivazione e degli ammortizzatori sociali, essenziali per ridurre la disoccupazione di lungo periodo, saranno descritte nella Guideline 4. Oggi gli ammortizzatori sociali offrono prestazioni di lunga durata a pochi soggetti; molti incentivi sono accessibili solo da parte di chi ha maturato lunghi periodi di iscrizione al collocamento: la loro riforma, insieme alla regionalizzazione dei Servizi, consentirà un targeting mirato e flessibile.

Soltanto il completamento della riforma dei Servizi pubblici all’impiego (cfr. gl1) consentirà di offrire a tutti i disoccupati, prima dei 12 mesi di disoccupazione, un’opportunità di avvicinamento e inserimento al mondo del lavoro. In particolare, verranno offerti colloqui personalizzati che portino alla definizione di un programma d’intervento per l’occupabilità di ogni disoccupato.. E’ comunque intenzione del Governo incentivare le Regioni ad attuare tale azione il più presto possibile.

Le misure che possono avere ricadute più ravvicinate sulla prevenzione della disoccupazione di lunga durata sono attività di riqualificazione professionale, il sostegno al lavoro part-time e l’individuazione di dispositivi per svolgere attività, anche a tempo ridotto, mantenendo una quota del trattamento di disoccupazione. Per lo smaltimento dei disoccupati di lunga durata inseriti nei progetti LSU, oltre a valorizzare la creazione di nuove opportunità di autoimpiego, un’opportunità potrebbe consistere in nuovi schemi di lavoro interinale , utilizzando al meglio il bilancio dell'esperienza fin qui condotta con la verifica di fine biennio, prevista dalla legge istitutiva.

Passare dalle misure passive alle misure attive. I sistemi previdenziali, fiscali e di formazione devono - all'occorrenza - essere rivisti e adattati in modo da garantire che contribuiscano attivamente all'occupabilità. Ciascuno Stato membro: GL3. si adopererà per aumentare sensibilmente il numero delle persone che beneficiano di misure attive atte a facilitarne l'inserimento professionale. Per proporre attività di formazione o altro analogo provvedimento a una più alta percentuale di disoccupati, fisserà in particolare l'obiettivo, in funzione della sua situazione di partenza, di un progressivo ravvicinamento alla media dei tre Stati membri che hanno raggiunto il miglior risultato in materia, pari almeno al 20%.

 

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

L’attuale sistema delle integrazioni passive al reddito, e il collegamento stabile tra i sussidi e gli strumenti di promozione dell’occupazione sono inadeguati. Questo è apparso evidente anche quando, nel 1998, ci si è sforzati di inserire i disoccupati in misure legate a vari tipi di attività lavorative (gl. 1-2). Un maggior peso di strumenti di tipo attivo è indispensabile per spostare l’attenzione verso le condizioni dell’offerta e per facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro ai gruppi più sfavoriti, come le donne, che più di altri risultano penalizzate dalle misure passive o indirette; queste infatti, anche quando efficaci, rispecchiano la composizione preesistente dell’occupazione in cui la componente femminile e giovanile è meno rappresentata.

Interventi attivi innovativi sono già stati effettuati a livello regionale, con risorse relativamente contenute. La capacità di intervento delle varie Regioni mostra però significativi dislivelli. Dati inoltre i vincoli di risorse e di competenze, le misure per aumentare l’occupabilità dei disoccupati o dei soggetti a rischio di disoccupazione vengono impostate in prevalenza a posteriori anziché essere preventive. Fra queste vi sono comunque state: 1) attività di counselling personale effettuate da agenzie locali per classificare i soggetti in base alle caratteristiche di base e attitudinali e per migliorare le capacità di ricerca dell’impiego; 2) esperienze di lavoro guidate e integrate da incentivi per la stabilizzazione del posto di lavoro; 3) azioni di formazione permanente per migliorare l’occupabilità e l’adattabilità; 4) esperienze di ricollocazione diretta da parte delle imprese di lavoratori in eccesso, attraverso iniziative di "outplacement" e di "enterprise creation".

 

Il numero complessivo dei disoccupati beneficiari nel 1998 di politiche attive del lavoro è indicato nella tabella seguente. La quota di individui raggiunti, rispetto alla media delle persone in cerca di occupazione, è del 27,2% (35,5% considerando anche i colloqui di orientamento).

 

Non si dispone, purtroppo, di informazioni complete e omogenee sulla durata degli interventi e della disoccupazione. Considerando alcune ipotesi alternative è ragionevole stimare che l’indicatore, anche corretto per la diversa durata media della disoccupazione e degli interventi, si collochi sopra il 20%.

 

Interventi
TOTALE
Maschi
Femmine
Partecipanti a corsi di formazione professionale regionali (minimo)

(di cui giovani fino a 25 anni)

Stima aggiuntiva sulla base di dati finanziari

Totale

200597

(146642)

59403

260.000

81126

(60694)

119470

(85948)

(1)
Disoccupati impiegati in lavori socialmente utili
140736
76196
64540
(2)
Giovani piano straordinario LPU
21443
(3)
Borse di lavoro totale

(di cui giovani fino a 25 anni)

62827

(30607)

31402
31425
(4)
Tirocini e stages
34767
(5)
Prestito d'onore (giovani accettati alla formazione)
3360
(6)
Piani d'inserimento professionale
36443
(7)
Assunzioni incentivate di lavoratori in CIGS o mobilità o disoccupati di lunga durata
67590
(8)
Assunzioni incentivate con credito d’imposta per PMI nelle aree svantaggiate

(di cui giovani fino a 25 anni)

42735

43267

(9658)

30481
12786
(9)
Lavoratori interessati da contratti di solidarietà
5644
(10)
Lavoratori svantaggiati in cooperative sociali
19500
(11)
Lavoratori svantaggiati avviati al lavoro
23578
(12)
Beneficiari imprenditoria femminile
5559
5559
Iniziative regionali di politica attiva
47337
(13)
A) Totale individui interessati
771519
Colloqui di orientamento presso i servizi per l'impiego
235719
(14)
B) Totale individui interessati (con colloqui)
1007238
C) Persone in cerca di occupazione (Istat, media 1998)
2836000
1345000
1491000
A/C
27,2
(15)
B/C
35,5

 

FONTE: Ministero del Lavoro, Osservatorio sul mercato del lavoro; ISTAT, Rilevazione trimestrale sulle Forze di lavoro (RTFL). Il totale degli interventi esclude alcune misure non ancora oggetto di monitoraggio. Alcuni dati sono parziali; la disaggregazione per sesso è riportata solo dove è disponibile per tutte le regioni. Nell’allegato 2 le politiche oggetto di monitoraggio sono presentate con maggiore disaggregazione. NOTE (1) . La stima è basata sull'indagine trimestrale sulle forze di lavoro, aprile 1998 (RTFL) e sui dati finanziari. Con le attuali modalità di rilevazione, dati puntuali sono disponibili con molto ritardo (alla fine dell’anno successivo all’intervento); sulla base dei dati finanziari, che non consentono con precisione una disaggregazione per età e sesso, gli individui interessati da formazione sarebbero 260.000. La RTFL può sottostima il numero di individui interessati per problemi connessi all’autodichiarazione. (2) Stock al 31.12.1998. I lavoratori sono stati impegnati nei programmi in prevalenza per l’intero anno. (3) Il piano straordinario per il 1998 ha riguardato quasi esclusivamente le Regioni del Mezzogiorno. (4) Lavoratori interessati nell’anno, approssimativamente per l’intero anno. Il piano straordinario 1998 ha riguardato quasi esclusivamente le Regioni del Mezzogiorno (5) Flusso annuo, dati parziali. Per alcune regioni i dati sono disponibili solo per parte dell’anno. Non ancora disponibili i dati per Sicilia, Veneto. Friuli e provincie di Trento e Bolzano. (6) Individui disoccupati ammessi ai corsi di formazione per l’attività di impresa. (7) Flusso annuo, dati parziali. Non ancora disponibili dati per Sardegna e Sicilia. (8) Flusso annuo. L’84 per cento dei lavoratori è stato assunto dalle liste di mobilità gestite dalle agenzie regionali per l’impiego. (9) Flusso annuo. Legge finanziaria 1998. Gli incentivi si riferiscono all’occupazione aggiuntiva nelle PMI delle aree svantaggiate secondo i regolamenti comunitari. Il primo dato si riferisce al 31.12.98; il secondo lo cumula al primo trimestre 1999. (10) Dati parziali, flusso annuo. (11) Stima. Dati puntuali disponibili al giugno dell’anno successivo a quello di riferimento. (12) Dati parziali. Flusso dei primi sei mesi dell’anno. (13) Le iniziative regionali di politica attiva sono relative sia a inserimento al lavoro e esperienze lavorative, sia a promozione di lavoro autonomo. (14) I colloqui sono stati svolti negli ultimi 8 mesi del 1998. (15) Percentuale. L’indicatore (A/B) e (C/B) potrebbe approssimare la quota di individui coinvolti per eccesso perché non tiene conto del possibile mutamento nella platea dei disoccupati al denominatore. Il forte peso dei disoccupati di lunga durata limita la componente di errore.

 

Per il prosssimo anno, tali valori saranno analiticamente calcolati. Il Governo mira a migliorare fortemente il monitoraggio analitico sulle iniziative, anche per ottenere una maggiore efficacia d’intervento. Con il coinvolgimento di vari enti e amministrazioni, il Ministero del Lavoro ha già avviato un’iniziativa di monitoraggio sulle politiche.

 

Per la predisposizione del Piano per l'Occupazione 1999 sono stati utilizzati i dati di fonte amministrativa disponibili e l’indagine Istat sulle forze di lavoro, individuando con precisione le principali necessità di monitoraggio, anche in connessione con il decentramento in atto. A regime, il monitoraggio sull’attuazione delle politiche attive si baserà innanzitutto sulle informazioni che i Servizi per l’impiego forniranno al SIL. Il Ministero del Lavoro ha inoltre avviato insieme all’Inps e ad altri enti, un progetto più ampio di monitoraggio di tutti i fenomeni relativi al mercato del lavoro. Sul territorio un’attività di monitoraggio sistematica è ancora limitata; interessanti esperienze sono state compiute in Veneto ed Emilia-Romagna.

Prospettive per il 1999 e oltre

Il miglioramento dei servizi per l’impiego e la loro diffusione capillare su tutto il territorio nazionale contribuiranno ad assicurare una più efficace azione preventiva, attraverso azioni di orientamento personalizzato alle occasioni formative e di esperienza di lavoro, nonché alle occasioni di lavoro, con effetti sui tempi medi di ricerca del posto di lavoro e quindi sul tasso di disoccupazione. Ciò non esaurisce gli interventi di politica del lavoro; essi devono soprattutto aiutare i soggetti più difficili da occupare e creare nuove prospettive di lavoro nelle aree dove si concentra la disoccupazione.

Alcune nuove iniziative avranno riflessi a partire dal 1999. Questo è il caso dei lavori socialmente utili (gl. 2): le recenti innovazioni normative faranno superare una situazione di emergenza e di precarietà, per migliorare la condizione professionale dei lavoratori coinvolti e per delineare percorsi che portino a un regolare impiego. Per le categorie più deboli (gl. 9), una recente legge ha riformato l’intervento pubblico a sostegno dell’inserimento al lavoro dei disabili con il passaggio da un’azione di collocamento quasi automatico a una strategia attiva di valorizzazione delle loro capacità. Vi sono poi i provvedimenti per l’avvio di attività imprenditoriali da parte di giovani, donne e lavoratori che beneficiano dell’intervento straordinario della cassa integrazione o che sono disoccupati per riduzione di personale. Tra le misure di incentivazione di nuova imprenditoria nel Mezzogiorno, va ricordato il "prestito d’onore" (gl. 11). Il Governo infine, riformerà nel 1999 la normativa che regola i rapporti di lavoro a contenuto formativo e le altre forme di "work experiences" disponibili per i giovani durante il periodo degli studi o nella fase di ricerca di prima occupazione (gl.4).

GL4. riesaminerà e, se necessario, modificherà il proprio sistema previdenziale e fiscale e creerà incentivi per stimolare i disoccupati o le persone inattive a cercare e sfruttare le opportunità di occupazione o di migliore occupabilità ed i datori di lavoro a creare nuovi posti di lavoro. Nel contesto di una politica per l'invecchiamento attivo è inoltre importante sviluppare misure quali il mantenimento delle capacità lavorative, la formazione permanente ed altri accordi di lavoro flessibili, in maniera che i lavoratori anziani possano anch'essi partecipare attivamente alla vita lavorativa.

 

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

Gli incentivi finanziari all’occupazione in Italia sono articolati in numerose misure, su cinque principali canali: 1) promozione dei contratti di lavoro con un contenuto formativo; 2) incentivazione alla riassunzione definitiva o temporanea di lavoratori che siano beneficiari di forme di integrazione al reddito per la perdita (o il rischio di perdita) del posto di lavoro (reimpiego di lavoratori in cassa integrazione guadagni e in mobilità); 3) sostegno ad alcune fasce deboli (portatori di handicap, ecc.) o a lavoratori impiegati in settori arretrati come, ad esempio, l’agricoltura; 4) incentivi alla domanda di lavoro nel Mezzogiorno; 5) agevolazioni alle imprese che creano posti di lavoro aggiuntivi, o che assumono giovani e disoccupati di lunga durata.

Tradizionalmente, come forma di incentivo hanno prevalso gli sgravi contributivi, calcolati sulle aliquote ordinarie di finanziamento della protezione sociale. Più di recente, anche in conseguenza di orientamenti sfavorevoli dell'Unione Europea, sono diventati più rilevanti gli incentivi di carattere fiscale: riduzioni di imposta a favore delle imprese che assumono sotto determinate condizioni, e/o specifici gruppi di lavoratori.

Altra tendenza recente, è quella dell’emergere di sgravi, fiscali o contributivi su base capitaria, rilevante dal punto di vista del favore che ne può derivare per i lavoratori più deboli e con salari più bassi. E’ questo il caso dell’incentivo a favore delle imprese operanti nel Mezzogiorno. A queste, che erano beneficiarie dello sgravio contributivo generale, è stato concesso un contributo in forma capitaria al fine di evitare contraccolpi occupazionali specie per i lavoratori a più bassa qualifica. Il contributo, da dedurre dai versamenti contributivi ordinari, è pari a 1,6 milioni mensili fino a dicembre 1998 e a 1,05 milioni mensili nel 1999.

Analogamente, la legge 449/1997 ha previsto un credito di imposta a favore delle piccole e medie imprese operanti nelle aree Obiettivo 1 interessate da patti territoriali, nelle aree urbane svantaggiate e in alcune aree specificamente previste che assumono a tempo indeterminato nuovi dipendenti nel periodo ottobre 1997-dicembre 2000. Il credito è di 10 milioni di lire per il primo nuovo dipendente e di 8 milioni per ognuno dei successivi, fino a un massimo di 60 milioni annui di riduzione, nei tre periodi di imposta cui si riferisce la legge. Nella stessa legge vi è un incentivo a favore dell’avvio di nuove attività di lavoro autonomo nei settori artigianali e del commercio; i soggetti con età inferiore ai 32 anni che inizino una propria attività possono quindi dimezzare i contributi previdenziali dovuti nel primo biennio d’attività.

Data la natura degli strumenti, non è semplice tracciare un quadro contabile della spesa. Per gli schemi basati sulle agevolazioni contributive, registrati nei bilanci dell’Inps e catalogati con riferimento alle singole norme di incentivazione, una sintesi è nella tabella.

 

Agevolazioni contributive per la formazione, l'occupazione e le categorie svantaggiate (milioni di euro)
1998 (a)
a) AIUTI ALLA FORMAZIONE
1.848.736
b) INSERIMENTO DISOCCUPATI E PERSONE A RISCHIO DI DISOCCUPAZIONE
867.964
c) CATEGORIE E SETTORI SVANTAGGIATI
1.548.068
d) SOSTEGNO ALLE AREE A RITARDATO SVILUPPO
1.789.882
e) INCENTIVI ALL'INSERIMENTO
489.958
TOTALE
6.544.608

 

(a) Dati provvisori. FONTE: Elaborazioni su dati Inps.

Gli oneri per incentivi di tipo fiscale, che competono ai bilanci del Ministero delle Finanze, sono sintetizzati, in termini di previsioni di minor gettito, nella tabella successiva. A ciò vanno sommati gli incentivi erogati direttamente alle imprese, per investimenti che creano occupazione aggiuntiva (facenti capo al Ministero dell’Industria), nonché gli incentivi erogati dalle amministrazioni regionali.

La mancanza di un sistema stabile di rilevazione sulle misure d’incentivazione non permette al momento di quantificare il numero dei soggetti che ne hanno beneficiato, né è possibile valutare l’effetto occupazionale netto aggiuntivo delle risorse impiegate.

Gli importi erogati a titolo di sostegno al reddito dei disoccupati sono meno dell’1%, una quota inferiore all’importo di quasi tutti i paesi europei; gli importi rimangono inferiori anche se si include quanto erogato per indennità e per invalidità. Taluni gruppi cui sono indirizzati gli ammortizzatori potrebbero tuttavia essere indotti a comportamenti passivi nella ricerca dell’impiego (gl. 2) a causa della durata dei trattamenti e delle difficoltà registrate nell’attuazione di politiche attive (riqualificazione dei lavoratori, verifica dell’effettiva azione di ricerca). Questi problemi sono accresciuti dall’assenza nella legislazione attuale di misure volte ad allungare la partecipazione attiva dei lavoratori anziani. La possibilità di andare in pensione dopo 35 anni di contribuzione ha tenuto molto bassa l’età media di pensionamento e ha favorito un progressivo abbassamento dei tassi di partecipazione nella fascia d’età sopra i 50 anni. Effetti simili ha avuto il ricorso ai pre-pensionamenti. Il quadro generale rimane però poco favorevole alla prosecuzione della vita attiva da parte dei più anziani. Ciò dipende in parte dai vincoli particolarmente stringenti alla cumulabilità di un reddito da lavoro con la pensione, che disincentiva da un regolare lavoro i pensionati.

 

 

Oneri stimati per incentivi introdotti nelle Leggi finanziarie 1998 e 1999 (milioni di Euro)
Legge n. 449/1997
1998
1999
2000
2001
Sgravio nuovi assunti
103
103
-
-
Quota capitaria (*)
640
387
-
-
Giovani che iniziano un lavoro autonomo
24
71
60
- 4
Legge n.448/98
1998
1999
2000
2001
Sgravio nuovi assunti
53
263
352
Quota capitaria
129
423
372
Giovani che iniziano un lavoro autonomo
-
17
96
Oneri complessivi stimati a partire dal 1999
1999
2000
2001
Sgravio nuovi assunti
156
263
352
Quota capitaria
516
423
372
Giovani che iniziano un lavoro autonomo
71
76
91
TOTALE
743
763
815
(*) Gli oneri per incentivi contributivi 1998 sono compresi anche nella tabella precedente

 

 Sono però stati introdotti importanti correttivi. La legge di riforma del sistema pensionistico (n. 335/1995) ha aggiunto per le pensioni d’anzianità un requisito minimo di età che sta rapidamente salendo a 57 anni. Un vincolo quasi equivalente è stato introdotto per i dipendenti pubblici; alle ultime leve che beneficiano di un ritiro anticipato viene applicata una penalizzazione sulla pensione proporzionale alla differenza tra anzianità contributiva raggiunta e limite di 37 anni. Si è fatto molto meno ricorso ai pre-pensionamenti, salvo nei casi di disoccupati con età e anzianità non troppo distanti dai requisiti minimi, che comunque risultassero disoccupati già da diversi anni (cosiddetta "mobilità lunga"). In alcune Regioni vi sono state interessanti esperienze di inserimento di soggetti già in pensione in servizi di tutela ambientale e di cura alle persone.

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Il sistema italiano di protezione sociale ha già avuto importanti riforme negli ultimi anni. La riforma pensionistica ha corretto gli squilibri finanziari preesistenti; con il passaggio al sistema contributivo, se ne è aumentata infatti la governabilità, consentendo un’utile integrazione del sistema pubblico con forme integrative private. Ulteriori interventi paiono opportuni per incentivare i lavoratori anziani a rimanere in attività per un periodo più lungo, evitando conseguenze negative sui loro redditi e rischi di emarginazione sociale.

Quanto al sistema degli ammortizzatori sociali, la riforma del sistema di protezione sociale sarà completata nel 1999. Un riordino è in atto anche nel campo degli incentivi. Le misure già attuate sono: 1) la proroga fino al dicembre 2001 dello sgravio contributivo in forma capitaria già previsto per gli occupati di imprese operanti nel Mezzogiorno, limitato a coloro che hanno un reddito lordo inferiore ai 36 milioni annui; 2) uno sgravio contributivo totale fino al 2001 di durata triennale per i neo-assunti a incremento dell’occupazione nelle regioni del Mezzogiorno, con un limite temporale abbreviato per Abruzzo e Molise; 3) riduzioni contributive triennali, in forma definitiva e pari al 50% della contribuzione per giovani lavoratori autonomi che si iscrivano alle gestioni artigiani e commercianti Inps nel periodo 1999-2000; 4) un credito di imposta pari a 1 milione annuo (3 milioni per ogni lavoratore disabile), per un triennio e con un massimo di 60 milioni l’anno, per ciascun nuovo assunto nel periodo 1999-2001 destinato alle piccole e medie imprese ubicate in territori con tasso di disoccupazione sopra la media nazionale o confinanti con zone svantaggiate; 5) incentivi territoriali in forma di benefici fiscali rapportati all'incremento di dipendenti per i titolari di reddito di impresa che investono in contratti d'area, patti territoriali e contratti di programma stipulati nei territori degli obiettivi 1, 2 e 5b del Regolamento CEE, nonché in altri accordi di programmazione negoziata; 6) rifinanziamento del Fondo per l'occupazione per un importo di lire 200 miliardi annui a decorrere dal 1999, finalizzato ad agevolazioni contributive su progetti di riduzione dell'orario di lavoro.

L’esigenza di riordino va però al di là di queste misure. Il Parlamento ha varato una legge che delega il Governo a riformare entro il 1999 gli incentivi all’occupazione, gli ammortizzatori sociali, i contratti di lavoro a contenuto formativo e le esperienze di lavoro (borse, stages, tirocini). L'obiettivo è "realizzare un sistema efficace e organico di strumenti per l'inserimento al lavoro delle persone rimaste prive di occupazione". L'attuazione delle deleghe non dovrà comportare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Sono previsti meccanismi e strumenti di monitoraggio e di valutazione dei risultati conseguiti.

Devono inoltre essere razionalizzate le tipologie e le misure degli interventi in riferimento a: 1) caratteristiche dei destinatari, con particolare riferimento all’occupazione femminile; 2) accertamento dei requisiti individuali; 3) grado di svantaggio territoriale; 4) stabilizzazione del posto di lavoro; 5) vantaggi per imprese: piccole e medie; che adottano tecnologie energy-saving; che adottano cicli integrati per le acque e i rifiuti.

Le indicazioni di riforma sono le seguenti:

 

GL5. Promuovere un approccio improntato alla compartecipazione. L'azione dei soli Stati membri non è sufficiente per conseguire i risultati auspicati in materia di inserimento professionale. Pertanto le parti sociali sono esortate, ai vari livelli di responsabilità e di azione, a concludere rapidamente accordi volti ad ampliare le possibilità in materia di formazione, pratica lavorativa, tirocini o altre misure atte a facilitare l'inserimento professionale;

Il contesto, sviluppi nel 1998, monitoraggio delle iniziative e prospettive per il 1999

Negli anni ‘90 l’Italia ha raggiunto importanti risultati sul piano della concertazione sociale. Questa esperienza ha contribuito a instillare una "cultura della stabilità" che è stato elemento fondamentale per partecipare alla fase finale della moneta unica. La pratica della concertazione ha anche facilitato l’introduzione di significative riforme nelle politiche del lavoro.

Nel dicembre 1998 è stato firmato dal Governo e dalle parti sociali il Patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione, che rilancia il Protocollo sulla politica dei redditi e dell'occupazione del luglio 1993. Nello stesso tempo, il Patto propone nuovi obiettivi in termini di sviluppo, di crescita dell'occupazione, di giustizia sociale e di modernizzazione complessiva del sistema.

Il Patto conferma l'assetto contrattuale previsto nel Protocollo del 1993, inserendolo nel quadro della nuova fase della concertazione. Vengono dunque riconosciuti due livelli contrattuali: il contratto nazionale quadriennale per la parte normativa e biennale per quella economica; e la contrattazione aziendale o territoriale legata a obiettivi di produttività, qualità, redditività e partecipazione. Viene promosso un maggiore raccordo tra il livello centrale della politica dei redditi e il livello decentrato: il metodo della concertazione viene rafforzato e istituzionalizzato anche attraverso il coinvolgimento dei poteri locali, attori di primo piano nella politica di sviluppo.

Il Patto punta a rafforzare e riqualificare il sistema di istruzione, formazione e ricerca italiano; nel 1999, un piano pluriennale in corso di definizione (Master Plan) stabilirà contenuti, tempi e risorse. Sul fronte della formazione, gli impegni del Governo riguardano: l'istituzione all'obbligo di frequenza ad attività formative fino a 18 anni; l'estensione e l’intensificazione della formazione per gli apprendisti; l'estensione dei tirocini formativi; la costituzione in tempi rapidi del Fondo interprofessionale per la formazione continua; la riqualificazione della formazione per le alte professionalità.

 

GL6. Per contribuire allo sviluppo di una manodopera qualificata e adattabile, gli Stati membri e le parti sociali si adopereranno per promuovere le possibilità di formazione permanente, in particolare nei settori delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e in consultazione con il Comitato per l'occupazione ed il mercato del lavoro, per definire la formazione lungo tutto l'arco della vita onde stabilire un obiettivo secondo criteri nazionali per le persone che beneficiano di tali misure. Particolare importanza sarà attribuita alla facilità di accesso per i lavoratori anziani.


Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

L’Italia è stata caratterizzata da un ritardo nella scolarizzazione di massa fino all’inizio degli anni ’60. Esso ancora si riflette nel basso livello di istruzione delle generazioni più anziane (nel 1998, il 60,3% della popolazione tra 55 e 64 anni non superava la licenza elementare). Anche nelle fasce più giovani, permane un deficit d’istruzione (nella popolazione tra 25 e 34 anni, il 5,9% ha soltanto la licenza elementare, e un ulteriore 40,7% ha soltanto la licenza media). La disoccupazione tra gli adulti è più elevata proprio tra i meno scolarizzati. La formazione fruita dagli occupati è peraltro in aumento (gl. 18), anche se resta significativamente inferiore alla media europea. Così pure, le occasioni di formazione per gli adulti non occupati sono ancora limitate, sebbene in via di crescita.

Le questioni da affrontare sono distinte a seconda delle diverse fasce d’età. Per i giovani si tratta di proseguire nell’innalzamento del livello medio di istruzione e di facilitare la transizione tra scuola (o formazione iniziale) e lavoro, prevedendo un continuum tra i due mondi e l’apertura di canali che rendano possibili esperienze di inserimento nel lavoro (gl. 7-8). Per gli adulti vi è l’esigenza di aumentare le occasioni di formazione per gli occupati, adeguandole alle tecnologie più moderne e allargando la platea dei soggetti coinvolti alle fasce più deboli. Più in generale, si tratta di aumentare le occasioni di formazione permanente. In questa azione è da tener conto la situazione peggiore di partenza del Mezzogiorno.

Le azioni formative destinate ai disoccupati sono principalmente rivolte ai giovani (gl. 8). Le azioni di educazione permanente destinate agli adulti hanno avuto a lungo carattere sperimentale. E’ stato avviato un progetto del Ministero della Pubblica Istruzione in collaborazione con altre amministrazioni e con le parti sociali. L’azione è potenzialmente diretta a tutti gli adulti e ha come target prioritario individui disoccupati e con basso titolo di studio. Al 31 dicembre 1998 erano stati istituiti 389 centri permanenti in 89 province. Ai 7288 corsi, di durata variabile e con diversi tipi di attività (tra cui alfabetizzazione, informatica e lingue straniere) si sono iscritte circa 150.000 persone. Negli ultimi anni sono migliorate le modalità di impiego delle risorse del FSE: rispetto al passato, nei programmi di formazione finanziati dal Fondo sociale europeo all’interno dell’Obiettivo 3, è aumentata la quota di formazione diretta anche ai disoccupati adulti, benché la parte preponderante resti diretta ai giovani.

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Come previsto nel Patto sociale (gl. 5), il Governo presenterà entro il 1999 un progetto pluriennale per un sistema integrato di istruzione, formazione e ricerca. Stabiliti gli obiettivi in termini di destinatari per istruzione e formazione, tutte le diverse amministrazioni competenti concorreranno alla loro realizzazione. Sarà resa operativa la Fondazione per la Formazione Continua (gl. 18).

Governo, Regioni e parti sociali si sono impegnati a collegare gli interventi formativi nella programmazione dei fondi strutturali 2000-2006 nelle aree Obiettivo 1 con gli interventi di investimento e di sostegno allo sviluppo locale. Il Patto sociale prevede infatti di riservare risorse alla formazione dei lavoratori nell’ambito dei progetti atti a promuovere occupazione a livello locale (gl. 12), con patti formativi territoriali di accompagnamento. Lo scopo, specie nel Mezzogiorno, è quello di connettere interventi formativi e interventi di sviluppo. (Le nuove regole per i Contratti d’area e i Patti territoriali rendono ad esempio obbligatoria la formazione per i lavoratori: gl. 12.)

Il Governo ha sollecitato le parti sociali a concordare meccanismi contrattuali che finalizzino quote di riduzione di orario alla formazione dei lavoratori (riqualificando le cosiddette "150 ore") e a prevedere scopi formativi per l’utilizzo delle banche ore annuali previste dai contratti collettivi nazionali (come in quello del settore chimico siglato nel 1998). Il Governo impegnerà una parte delle risorse del Fondo per la riduzione degli orari (gl. 4) per sostenere gli strumenti contrattuali individuati dalle parti sociali che finalizzino quote di riduzione di orario alla formazione continua dei lavoratori.

Si prevede l’allargamento del progetto di educazione degli adulti. L’obiettivo è di ampliare il numero di soggetti coinvolti dai circa 150.000 del 1998 a circa 200.000 a fine 1999, sino a 250-300.000 nel 2001. E’ previsto un monitoraggio sulle caratteristiche degli iscritti e sugli effetti dei corsi; per il 1999 sono stati stanziati 54 miliardi di lire.

 

Agevolare il passaggio dalla scuola al mondo del lavoro. Le prospettive occupazionali sono scarse per i giovani che abbandonano gli studi senza avere acquisito le capacità necessarie per accedere al mercato del lavoro. Pertanto gli Stati membri: GL7. miglioreranno la qualità del loro sistema scolastico, in modo da ridurre sostanzialmente il numero dei giovani che abbandonano prematuramente gli studi. Particolare attenzione dovrà inoltre essere prestata ai giovani che hanno difficoltà di apprendimento.

 

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

Nella fascia d’età interessata all’obbligo (fino a 14 anni), l’evasione si è quasi del tutto annullata e i dati 1998 segnalano un significativo incremento (il 5% rispetto al 1993) nella partecipazione ad attività formative e di istruzione dei giovani dai 15 ai 24 anni. Tuttavia, i tassi di partecipazione sono ancora inferiori a quelli dei Paesi partner più avanzati e consistenti sono gli abbandoni. Il 94% dei licenziati dalla scuola media inferiore si iscrive alla scuola secondaria superiore; dopo 5 anni, soltanto il 73% raggiunge il diploma; un ulteriore 7% (stime Isfol) raggiunge poi una qualifica professionale. Resta ancora elevata la popolazione giovanile in possesso della sola licenza media, in particolare nel Mezzogiorno. Solo il 10% degli individui nella classe di età tra 25 e 34 anni è in possesso di una laurea. Gli elevati abbandoni sono connessi: a) con la struttura dell’offerta formativa; b) con il prevalere di cicli lunghi (5 anni nella scuola media superiore, 4-6 per le lauree); c) con le notevoli difficoltà di cambiare percorso in caso di insuccesso; d) con gli scarsi rapporti con il mondo del lavoro.

Il Ministero della Pubblica Istruzione coordina azioni contro la dispersione scolastica che beneficiano anche del finanziamento del FSE (50 miliardi di lire nel biennio 1998-1999). Esse sono dirette principalmente ai giovani della scuola secondaria superiore, ma in alcune aree a forte rischio di degrado sono anche estese agli studenti della scuola dell’obbligo e alle loro famiglie; l’iniziativa più ampia coinvolge circa 40.000 allievi all’anno nelle scuole secondarie superiori nel Mezzogiorno.

 

prospettive per il 1999 e oltre

Il Governo intende articolare maggiormente i percorsi di istruzione e formazione, renderli più permeabili, sia tra i diversi cicli e sia tra questi e il mondo del lavoro. Governo e parti sociali hanno rinnovato nel Patto sociale i propri impegni in tre principali aree: 1) aumento della qualità dell’istruzione, da realizzarsi con il completamento dell’autonomia scolastica. Sono anche previste (in parte in corso) azioni di formazione degli insegnanti e di riequilibrio dell’offerta di istruzione sul territorio, e la definizione di un sistema nazionale di valutazione; 2) aumento dell’utenza potenziale attraverso l’introduzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni con forme di coesistenza tra esperienze lavorative e formative (gl. 8), e il riordino dei cicli scolastici; 3) aumento della capacità di fruizione effettiva, con la previsione di un impegno anche finanziario per il diritto allo studio dei giovani studenti e degli adulti in condizioni svantaggiate, e con la riqualificazione dell’edilizia scolastica pubblica, in particolare nelle aree di maggiore sofferenza.

L’iniziativa di maggior rilievo è stata l’elevamento dell’obbligo scolastico a 15 anni deliberata nella legge 9/1999 e finanziata con circa 52 miliardi per il 1999. Secondo stime del Ministero della Pubblica Istruzione, essa coinvolgerà 30.000 giovanissimi nell’anno scolastico 1999-2000.

Ancor più rilevante risulterà la realizzazione del sistema di crediti formativi (tra e all’interno dei sistemi di formazione e istruzione) prevista dalla recente normativa, che consentirà di riorientare il proprio percorso formativo senza perdere il riconoscimento del curriculum svolto. Entro la fine del 1999 sarà completata l’anagrafe scolastica, contenente informazioni su tutti gli alunni per individuare precocemente quelli a rischio di abbandono e per consentire interventi personalizzati.

 

GL8. Gli stati membri si adopereranno per suscitare nei giovani una maggiore capacità di adattamento ai mutamenti tecnologici ed economici e per dotarli di qualifiche che corrispondano alle esigenze del mercato del lavoro, se del caso istituendo o sviluppando i sistemi di apprendistato.

 

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

Gli elevati tassi di disoccupazione della popolazione giovanile (gl. 1) scendono significativamente soltanto un certo tempo dopo il completamento di un percorso di istruzione. L’età all’ingresso nella prima esperienza lavorativa significativa si colloca in media almeno un anno dopo la fine di un ciclo di studi, anche nelle aree dove c’è bassa disoccupazione. Secondo alcune indagini presso le imprese, l’inadeguata preparazione della mano d’opera rispetto alle qualifiche desiderate costituirebbe una delle principali difficoltà di assunzione. Malgrado la recente tendenza al miglioramento e la notevole diversificazione territoriale, la qualità della formazione professionale per i giovani rimane infatti insoddisfacente. Ciò accade, in parte rilevante per la carenza di concorrenza e certificazione della qualità nel settore.

Accanto alla necessità di elevare il livello di qualificazione (gl. 7), è quindi urgente promuovere esperienze lavorative precoci; attraverso: l’ulteriore allargamento di forme contrattuali che incentivano le imprese a investire sulla formazione dei nuovi entranti (apprendistato); delle esperienze formative presso le imprese (tirocini), anche prima del completamento di un percorso di istruzione o di formazione. In questo senso si sta riorientando la programmazione sia dell’istruzione che della formazione.

Nel 1998 stati avviati al lavoro 124.939 giovani al di sotto dei 25 anni con il contratto di formazione e lavoro, e 290.727 con il contratto di apprendistato, che prevedono esplicite finalità formative. In particolare si va consolidando la sperimentazione della formazione teorica nell'apprendistato, in particolare nell'artigianato, che riguarda 10.000 apprendisti. Tra gennaio e settembre del 1998, i giovani interessati ai tirocini promossi da strutture pubbliche sono stati 34.490. Il fenomeno ha però dimensioni più consistenti perché una parte dei tirocini nel settore privato sfugge alla rilevazione. Di una certa importanza per le regioni meridionali sono i piani di inserimento professionale (riservati alle aree Obiettivo 1 e 2), che consentono esperienze miste di lavoro e formazione presso le imprese, e che prevedono l’erogazione di un sussidio. Nel 1998 hanno coinvolto 33.781 giovani.

L’esigenza di migliorare il sistema della formazione professionale attraverso la previsione di uno standard di qualità per gli istituti di formazione (cosiddetto "modello di accreditamento") e la ristrutturazione degli Enti sono previste dalla legge 196/1997, di cui nel 1998 è stato emanato il regolamento attuativo. Gli interventi di certificazione e di riqualificazione sarebbero diretti a circa 2.000 enti di formazione e ai loro dipendenti. Le attività di formazione e di inserimento nel lavoro dei giovani hanno costituito anche nel 1998 il principale utilizzo del contributo finanziario del FSE (con risorse impegnate pari al 54,4% del totale nel Centro-Nord e al 56% nel Mezzogiorno). Per rafforzare la capacità di fornire un’istruzione di base, il Ministero della Pubblica Istruzione sta conducendo un’azione tesa a dotare progressivamente tutte le scuole statali di postazioni multimediali. Le decisioni di spesa sono assunte dalle singole scuole. Il piano è finanziato fino al 2000, ma nel Patto sociale è stato sottoscritto un impegno di rifinanziamento. Le risorse stanziate per il 1999 sono di 367,5 miliardi di lire. Al fine di diffondere la conoscenza delle lingue nella scuola dell’obbligo, il Ministero della Pubblica Istruzione conduce infine un’azione tesa a generalizzare l’insegnamento di una lingua straniera nella scuola elementare e di una seconda lingua straniera nella scuola media. Le risorse disposte per l’anno scolastico 1998-99 sono di 46 miliardi di lire.

Prospettive per il 1999 e oltre

Governo e parti sociali hanno preso nel Patto sociale impegni per l’elevamento degli standard di formazione professionale, sia con la completa attuazione di quanto già previsto in via legislativa e regolamentare, sia con un aumento dell’efficacia amministrativa nella gestione dei nuovi strumenti.

Il Patto sociale ha dedicato infatti particolare attenzione agli strumenti di formazione dei giovani e di ingresso nel mondo del lavoro, coerenti con l’innalzamento graduale fino a 18 anni dell’età in cui i giovani devono essere coinvolti nella formazione. L’impegno è stato convertito in legge: a) con l’istituzione progressiva di un obbligo di frequenza ad attività formative da assolversi sia all’interno del sistema scolastico, sia in quello della formazione professionale regionale, sia attraverso l’apprendistato; b) con una norma per la costituzione di un sistema di formazione tecnica superiore e una delega al Governo per la revisione e la razionalizzazione sia dei contratti di lavoro con contenuto formativo (come l’apprendistato) sia delle norme che disciplinano le esperienze formative presso le imprese (come i tirocini). Una estensione dei tirocini formativi a tutti i percorsi di istruzione e formazione è prevista nel medio periodo da iniziative in corso di definizione tra tutte le amministrazioni.

L’accresciuta sensibilità delle Regioni e degli Enti locali a orientare la formazione verso l’inserimento nel mercato del lavoro, con attenzione alla possibilità di assorbire figure professionali nuove e in settori innovativi, è testimoniata dai più recenti progetti integrati finanziati dal FSE.

Circa 200 nuovi progetti sperimentali regionali iniziati nel 1999, pur nella diversità dei settori di intervento, si caratterizzano per attività formative direttamente finalizzate all’inserimento nelle imprese e per l’innovatività delle figure professionali. I progetti coinvolgono 14.480 persone, il 60% delle quali giovani, e prevedono una spesa di 217 miliardi. Il programma IG Students, finalizzato a estendere la sensibilità dei giovani alla cultura di impresa e realizzato nel quarto anno di scuola superiore, prevede progetti di gruppo per la simulazione di attività di impresa con l’assitenza di un tutor. Nell’anno 1998-99 sono stati avviati 363 progetti di simulazione che hanno coinvolto circa 4.000 studenti.

L’impegno a fare frequentare un corso di istruzione secondaria, o di formazione professionale, o un percorso misto di formazione e lavoro ai giovani fino a 18 anni di età, recentemente convertito in legge, è considerato una delle priorità anche dal Master Plan (gl. 6).

Esso comporterebbe l’attrazione verso i percorsi formativi di oltre 300.000 giovani tra 15 e 18 anni. Il relativo testo di legge prevede 200 miliardi nel 1999 (per il solo apprendistato), 460 miliardi nel 2000 e 700 miliardi nel 2001. Un recente provvedimento normativo ha segnato anche la fine della fase sperimentale dei piani di istruzione e formazione tecnico superiore attivati nell’anno 1998-99, che hanno dato luogo a 234 corsi. La formazione superiore sarebbe così un canale più breve, accanto a quello universitario per costruire professionalità medio-alte secondo le esigenze del mercato. Il completamento dell’autonomia didattica delle Università (L.127/1997) dovrebbe concorrere all’aumento dei laureati attraverso la realizzazione della prevista flessibilizzazione dei corsi di studio. Per rafforzare l’accesso agli studi superiori dei giovani con difficoltà economiche, il Ministero dell’Università sta progettando l’ampliamento dell’attuale platea di giovani (circa 120.000) che percepiscono una borsa di studio, elevandone anche l’importo.

 

Promuovere un mercato del lavoro aperto a tutti. Numerosi gruppi e singoli incontrano particolari difficoltà ad acquisire le competenze necessarie per accedere al mercato del lavoro e restarvi inseriti. Appare necessario un insieme coerente di politiche che favoriscano l'integrazione di questi gruppi e individui nel mondo del lavoro e che permettano di lottare contro la discriminazione. Ogni Stato membro: GL9. presterà particolare attenzione alle necessità delle persone disabili, delle minoranze etniche nonché di altri gruppi e individui che possono essere svantaggiati, e svilupperà forme appropriate di politiche preventive e attive per favorire la loro integrazione nel mercato del lavoro.

 

Il contesto, sviluppi nel 1998, monitoraggio delle iniziative e prospettive per il 1999

Le difficoltà dei soggetti con svantaggio sociale (in prevalenza portatori di handicap), sono state affrontate tradizionalmente tramite l’imposizione alle imprese di obblighi di assunzione entro determinate quote. Il sostegno all’inserimento nel mercato del lavoro è stato a lungo affidato alle previsioni normative della legge sul collocamento obbligatorio. In base alle disposizioni di legge, a metà del 1998 (ultimi dati disponibili) 256.529 persone risultavano impiegate stabilmente in imprese private ed enti pubblici; altre 306.223 risultavano in attesa di collocamento. La normativa è stata di recentemente riveduta dalla legge 68/1999, con l’obiettivo di favorire un migliore incontro tra il disabile e l’impresa attraverso il collocamento mirato. Questo prevede che i centri per l’impiego forniscano agli individui svantaggiati servizi più ampi e personalizzati (con varie azioni di sostegno non soltanto durante la ricerca del lavoro ma anche durante il rapporto di lavoro). Sono disponibili 40 miliardi per il 1999 e 60 miliardi per il 2000.

Limitato è invece stato il ruolo di iniziative di sostegno attivo alla vita e alla partecipazione al mondo del lavoro dei soggetti svantaggiati. Più recentemente, la legislazione ha dato sostegno al non-profit per coinvolgere direttamente gli individui svantaggiati nella creazione di impresa; per sperimentare azioni dirette a famiglie in condizione di povertà o con particolari carichi di cura; e per permettere una graduale integrazione nel mercato del lavoro degli immigrati (gl.12).

Un ruolo importante viene svolto dalle cooperative sociali, il cui numero è raddoppiato dal 1994 al 1998, grazie alle agevolazioni riconosciute dalla normativa e alla capacità di operare nelle aree dei nuovi bisogni. Le cooperative che hanno l’obiettivo di inserire persone svantaggiate nell’attività lavorativa occupavano circa 19.500 soggetti svantaggiati (17.366 nel 1997). La legge sull’inserimento al lavoro dei disabili, che incentiva il loro inserimento appunto attraverso le cooperative sociali, farà crescere questi dati. Incentivi per l’assunzione di disabili nelle piccole imprese sono inoltre previsti dalla Legge Finanziaria 1999.

L’azione del Governo per sviluppare azioni attive mirate ha portato a sperimentare il reddito minimo di inserimento, introdotto dal decreto legislativo 237/1999 e diretto a 48.000 famiglie sotto la soglia della povertà in 39 comuni, di cui 25 nel Mezzogiorno. La sperimentazione si basa su risorse per 250 miliardi e prevede anche azioni formative finalizzate al reinserimento sul mercato del lavoro. L’impatto della sperimentazione è oggetto di monitoraggio.

L’integrazione di cittadini immigrati, presenti sul territorio in condizione di irregolarità e di frequente impiegati nell’economia sommersa, è uno degli obiettivi della recente legge sull’immigrazione (legge 40/1998). Il 1998 è stato l’anno di avvio di un nuovo sistema di programmazione degli ingressi che tiene conto delle possibilità di assorbimento del mercato del lavoro e degli accordi stipulati con i Paesi non UE. Per porre rimedio al fenomeno del lavoro irregolare degli immigrati si è proceduto a una regolarizzazione dei cittadini immigrati con particolari requisiti. Nel 1998 sono state concesse 27.000 autorizzazioni al lavoro; sono ancora in corso i controlli su altre 300.000 istanze presentate. Per le attività dirette a favorire l’integrazione degli immigrati è istituito un fondo con una dotazione di circa 70 miliardi.

 

 

II. SVILUPPARE L'IMPRENDITORIALITÀ.

 

Facilitare la creazione e la gestione di nuove imprese. Lo sviluppo di nuove imprese e la crescita delle piccole e medie imprese sono essenziali per la creazione di posti di lavoro e per l'aumento delle opportunità di formazione per i giovani. Questo processo deve essere promosso incoraggiando la crescita dell'imprenditorialità all'interno della società, istituendo un quadro normativo chiaro, stabile e prevedibile, e migliorando le condizioni per lo sviluppo dei mercati dei capitali di rischio. Gli Stati membri dovrebbero anche ridurre e semplificare gli oneri amministrativi e fiscali a carico delle piccole e medie imprese. Queste politiche sosterranno le iniziative degli Stati membri volte ad affrontare il problema del lavoro sommerso. A tal fine gli Stati membri: GL 10. presteranno particolare attenzione alla riduzione sensibile delle spese generali e degli oneri amministrativi delle imprese e più particolarmente delle piccole e medie imprese, in particolare in occasione della creazione di un'impresa e all'atto dell'assunzione di lavoratori supplementari.

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

Nel sistema economico italiano le complessità amministrative per le imprese sono rilevanti. L’Istat stima che nel 1996 i costi per gli adempimenti amministrativi abbiano inciso per l’1% sul totale dei costi aziendali (l’1,3% nelle imprese del Mezzogiorno e per l’1,7% in quelle da 5 a 20 addetti). Ciò significa 26 milioni di lire e 101 giornate-uomo per ogni impresa italiana. Una ricerca promossa dalla Confindustria ha evidenziato che gli imprenditori italiani percepiscono queste complessità come uno dei principali ostacoli allo sviluppo.

Obiettivo principale del Governo è quindi quello della semplificazione amministrativa e della progressiva, forte riduzione degli oneri per le imprese. Con le leggi 59/1997 e 191/1998 (cosiddette "leggi Bassanini") il Governo ha ricevuto la delega a de-legificare e a semplificare 122 procedimenti contenuti in oltre 400 provvedimenti amministrativi. A essi il disegno di legge di semplificazione annuale 1998 ha aggiunto altri 61 provvedimenti. Ventun provvedimenti di semplificazione amministrativa sono già stati approvati in via definitiva.

In particolare, il Governo ha approvato il regolamento per lo "sportello unico". Il regolamento unifica tutti i procedimenti relativi alle localizzazioni, alla realizzazione, all’ampliamento, alla riconversione e alla messa in esercizio di tutti gli impianti produttivi, inclusi quelli commerciali, e comprende anche la valutazione di impatto ambientale e l’eventuale modificazione di strumenti urbanistici. Gli sportelli unici entreranno in attività nel 1999.

Come buona prassi locale può essere segnalata l’esperienza dello sportello unico del comune di Catania, attivo già da due anni nell’ambito del progetto InvestiaCatania. Il bilancio dello sportello unico è di 252 progetti presentati e 40 iniziative già avviate, con un investimento globale di oltre 240 miliardi e la creazione di 1700 nuovi posti di lavoro. Tutte le autorizzazioni per nuove imprese o per l’ampliamento di imprese esistenti vengono concesse di norma in 60 giorni. L’iniziativa ha incontrato un grande successo tra gli imprenditori.

Con l’approvazione del regolamento sulla "firma digitale" è stata data piena validità giuridica agli atti e ai contratti firmati con mezzi informatici. Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha approvato nell’ottobre 1998 un progetto finalizzato che mira tra l’altro a realizzare manuali di istruzione, ad attivare strumenti di comunicazione e di diffusione (anche via Internet), e a predisporre rapporti periodici sullo stato di attuazione di questi provvedimenti.

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Nel corso del 1999, così come concordato nel Patto sociale, il Governo renderà assai più celere la predisposizione dei regolamenti di semplificazione amministrativa. A tale scopo è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio una struttura dedicata alla delegificazione E’ stato inoltre attivato un "Osservatorio sulle Semplificazioni", per verificare l’attuazione e l’efficacia delle misure adottate con la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, degli Enti locali e delle parti sociali.. Entro il settembre 1999 l’Osservatorio valuterà le eventuali correzioni e integrazioni da apportare al regolamento sullo sportello unico.

Sarà anche attivato un "Registro delle formalità" nel quale saranno inseriti tutti gli adempimenti burocratici a carico delle imprese. Con la legge 50/1999 è stataintrodotta l’ "Analisi di Impatto della Regolamentazione" che comprenderà anche la misurazione e la valutazione economica degli effetti, in termini di costi sopportati dai cittadini, dalle imprese e dalle stesse amministrazioni pubbliche.

 

GL11. (Gli stati membri) incoraggeranno lo sviluppo dell'autoimprenditorialità esaminando - con l'obiettivo di ridurli - gli ostacoli che, in particolare nell'ambito dei regimi fiscali e previdenziali, possono frapporsi al passaggio all'attività autonoma e alla creazione di piccole imprese, nonché promuovendo la formazione all'imprenditorialità e servizi di supporto mirati per gli imprenditori.

Il contesto, sviluppi nel 1998, monitoraggio delle iniziative e prospettive nel 1999

La diffusione delle imprese e dei sistemi d’impresa rappresenta uno dei più importanti punti di forza dell’Italia, e uno dei principali vettori per la creazione di nuova occupazione. La natalità di impresa è proseguita vivace anche nel 1998. Come mostrano i dati Unioncamere-Movimprese, vi è stato un saldo attivo di 65.000 imprese (non agricole), con un incremento dell’1,5% rispetto allo stock. Nel Mezzogiorno il saldo è stato di 29.100 unità, con un incremento dell’1,7%. Per il biennio 1998-99 l’indagine Excelsior prevede che la maggior parte dell’incremento di occupazione si verificherà nelle imprese con 1-9 dipendenti. Obiettivo della politica economica è quello di incoraggiare la nascita di nuove imprese, particolarmente nelle aree depresse del paese.

I principali strumenti di politica economica volti a favorire la natalità di impresa sono le leggi sulla imprenditorialità giovanile (n. 44/1986 e n. 236/1993) e sul "prestito d’onore" (n. 608/1996). Le leggi sull’imprenditorialità giovanile promuovono la creazione di nuove imprese costituite da giovani residenti nelle aree depresse, sia attraverso finanziamenti, sia attraverso servizi reali gratuiti (tutoring e formazione). Un programma sperimentale per lo start-up di imprese ad alto contenuto tecnologico da parte di giovani con esperienza di ricerca è gestito dal Ministero per l’Università e la Ricerca scientifica. Il prestito d’onore è un programma rivolto al Mezzogiorno e ad alcune aree depresse del CentroNord. Esso fornisce incentivi finanziari e reali per l’avvio di iniziative di lavoro autonomo gestite da disoccupati. Queste leggi sono gestite dalla Società per l’Imprenditorialità Giovanile, IG, che sta per essere assorbita da Sviluppo Italia (gl. 12). Nell’ambito delle misure di incentivazione dell’imprenditorialità giovanile sono stati presentati 429 progetti fra il novembre 1997 e il novembre 1998; 144 sono stati approvati, con un investimento di 311 miliardi e con l’attivazione di 2.682 nuovi posti di lavoro (fra soci e addetti previsti). Nel 1998 sono state presentate 46.299 domande per il prestito d’onore; 16.826 richiedenti (pari al 36%) sono stati ammessi ai corsi di formazione e 1924 li hanno terminati con un progetto ammesso al finanziamento; 777 progetti sono stati già agevolati, con un finanziamento impegnato di 107 miliardi di lire. Dato lo sviluppo di queste attività, nel 1998 sono state costituite società miste territoriali della IG in Basilicata e Abruzzo, e nel 1999 in Campania, Molise e Puglia.

Nel 1999 il Governo potenzierà questa strumentazione di intervento. La legge 44 per l’imprenditorialità giovanile ha avuto un finanziamento di 3.954 miliardi per il periodo 1986-1998 (di cui 139,5 per il 1998), e la successiva legge 236 ha ottenuto uno stanziamento di 52 miliardi. La legge sul prestito d’onore ha avuto finanziamenti 1996-97 per 80 miliardi ed è stata rifinanziata nel 1998 con altri 100 miliardi.

Molte iniziative per la promozione dell’imprenditoria sono state intraprese a livello regionale e locale. Fra le iniziative regionali vanno segnalate: a) Emilia-Romagna - Azione Impresa 2000 che mira a sviluppare le competenze manageriali dei titolari di imprese artigiane e di microimprese utilizzando la logica gestionale e le migliori pratiche delle imprese di successo. b) Lazio - Sostegno alla nuova imprenditorialità operato con legge regionale 29/1996 che ha stanziato 9,5 miliardi per il 1998 (e altrettanti per il 1999) per seminari di formazione imprenditoriale e di orientamento alla progettazione di piccole imprese, e per incentivi finanziari, e 1,3 miliardi per il 1998 (1,5 per il 1999) per incoraggiare l’autoimprenditorialità dei lavoratori in mobilità. c) Piemonte - Legge regionale 28/1993 che offre agevolazioni finanziarie per l’autoimpiego di soggetti "deboli" con una dotazione finanziaria di circa 5 miliardi all’anno. d) Toscana - Azioni per l’autoimpiego giovanile, fra cui alcune mirate alla selezione e al finanziamento di business plan nell’ambito dei nuovi bacini di impiego.e) Le Regioni Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia ed Emilia Romagna collaborano assieme nel progetto Nord-Sud, finalizzato alla formazione imprenditoriale dei giovani in settori innovativi. f) Varie Amministrazioni locali - come Ravenna, Lamezia Terme, Napoli e Roma - hanno varato progetti di sostegno all’autoimpiego. Fra le buone prassi si possono citare il Progetto "I giovani a scuola d’impresa" di Molfetta (Bari), che ha coinvolto 100 giovani nel 1998 e l’incubatore "Libra" di Bologna, che offre servizi alle nuove imprese, specie quelle femminili.

L’esistenza di molte imprese parzialmente o totalmente irregolari, e la conseguente occupazione "sommersa" è una caratteristica negativa del sistema economico italiano. Secondo l’Istat, le unità di lavoro non regolari (lavoratori irregolari, occupati non dichiarati e stranieri non residenti, al netto dei secondi lavori) rappresentano in Italia il 17,8% delle unità regolari; tale quota sale al 31,3% nel Mezzogiorno, con punte ancora più elevate nell’edilizia. Una così vasta area sommersa di imprese e di lavoro determina una concorrenza sleale nei confronti delle imprese regolari, comprime spesso i diritti dei lavoratori, e rende più difficile la crescita della produttività. Obiettivo della politica economica è pertanto quello di ridurre l’area del lavoro sommerso, in primo luogo favorendo la "emersione" delle imprese e dei lavoratori mediante i "contratti di riallineamento retributivo". Essi prevedono che il trattamento economico, previdenziale e contributivo venga allineato con gradualità ai livelli fissati dai contratti nazionali di lavoro vigenti, a partire da soglie e per una durata fissate a livello provinciale. Questi contratti vengono sottoscritti dalle parti sociali a livello locale, spesso d’intesa con le autorità politiche locali. I contratti di riallineamento hanno sinora coinvolto circa 90.000 lavoratori: la maggioranza è nel settore agricolo; circa 20.000 sono nel settore tessile-abbigliamento-calzature (prevalentemente donne).

Hanno avuto in particolare successo i contratti di gradualità nel settore abbigliamento-calzature in provincia di Lecce, a cui hanno aderito molte imprese e lavoratori (si tratta di donne, principalmente) . Quella di Lecce è una buona prassi sia perché le Associazioni imprenditoriali si sono fortemente impegnate per coinvolgere le imprese e le Organizzazioni sindacali per coinvolgere i lavoratori, sia perché le Amministrazioni locali hanno fornito un costante supporto. Ciò ha favorito il rafforzamento di una cultura della legalità e di una concorrenzialità non basata sull’evasione degli obblighi fiscali e contributivi. Il riallineamento ha consentito alle imprese di realizzare costi del lavoro compatibili con livelli di produttività contenuti, seppure in crescita, operando in piena legalità. Il Comune di Napoli ha avviato a sua volta nel 1998, con proprie risorse (226 milioni per il 1998 e 500 per il 1999), un progetto per creare centri operativi di supporto alle imprese nel processo di emersione e di nascita di nuove attività.

 

Avvalersi delle nuove possibilità di creare posti di lavoro. Se l'Unione Europea vuole vincere la sfida dell'occupazione, devono essere messe effettivamente a frutto tutte le possibilità di creare nuovi posti di lavoro nonché le nuove tecnologie e le innovazioni. A tal fine gli Stati membri: GL 12. promuoveranno i mezzi per sfruttare appieno le possibilità offerte dalla creazione di posti di lavoro a livello locale …

 

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

La disomogeneità geografica nella localizzazione della domanda e dell’offerta di lavoro è il principale problema dell’economia italiana e un fattore di rilevante diversità rispetto agli altri stati membri. La politica nazionale per l’occupazione deve dunque creare prioritariamente nuovi posti di lavoro nel Mezzogiorno e nelle aree ad alta disoccupazione. L’iniziativa a livello locale è centrale nella strategia italiana.

Nel 1998 la politica del Governo per lo sviluppo e l’occupazione nelle aree depresse è stata completata in alcuni importanti aspetti ed è stata definita "Nuova programmazione". Per lungo tempo l’azione a favore del Mezzogiorno era mirata alla compensazione dei divari ed era centrata sui sussidi pubblici a imprese e famiglie, spesso con l’esito perverso di disincentivare il cambiamento strutturale e le possibilità di lavoro nel lungo periodo. La "Nuova programmazione" intende invece aumentare strutturalmente le convenienze all’impresa e al lavoro nel Mezzogiorno. Cardini di questa strategia sono: il miglioramento dei contesti economico-sociali territoriali; la promozione dello sviluppo locale nelle aree depresse.

Il miglioramento dei contesti mira sia ad attrarre risorse ad alta mobilità geografica - capitali, imprese, imprenditori e lavoro specializzato - sia a consentire la valorizzazione delle risorse - naturali, culturali e umane - disponibili sul territorio. Ciò avviene attraverso investimenti pubblici volti a fornire servizi di rete adeguati, a prevenire e reprimere la criminalità, a diffondere cultura della legalità, a migliorare la qualità delle Amministrazioni locali. Per il successo di tali interventi è essenziale un metodo di programmazione che fissi obiettivi precisi e metodologie di selezione, che decentri fortemente le responsabilità alle comunità locali, e che coinvolga capitali privati.

La promozione dello sviluppo locale mira all’affermazione di capacità imprenditoriali già presenti nelle diverse aree e all’attrazione di capacità esterne. Essa opera attraverso sistemi di incentivi all’investimento quali quelli della legge 488/1992, che prevede contributi in conto capitale per l’acquisto di macchinari e per l’ammodernamento degli impianti; e soprattutto attraverso strumenti appositamente disegnati, quali quelli della "Programmazione negoziata". Essi sono: 1) i Patti territoriali; 2) i Contratti d’area; 3) i Contratti di programma. Il primo strumento favorisce la costruzione di relazioni fiduciarie nei territori e il simultaneo e coordinato investimento in attività produttive, infrastrutture e servizi da parte di imprese e Amministrazioni locali. Il secondo strumento (che nasce dall'accordo fra Sindacato e Associazioni Imprenditoriali), interviene nelle realtà dove si siano verificati gravi fenomeni di crisi produttive e dove siano disponibili risorse umane ed infrastrutturali. Il terzo strumento attrae specifici investimenti di rilevanti dimensioni da parte di imprese esterne o di consorzi di imprese.

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Le strutture di governo orientate a promuovere lo sviluppo delle aree depresse e l’attuazione della "Nuova programmazione" sono state razionalizzate mediante l’unificazione dei Ministeri del Tesoro, e del Bilancio e della Programmazione economica, e con la creazione del nuovo Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione, con responsabilità di coordinamento e di impulso della programmazione. Il Governo ha anche riorganizzato gli enti pubblici che a vario titolo operavano per lo sviluppo delle aree depresse, facendoli conferire nella società Sviluppo Italia.

Le sue finalità sono lo svolgimento, prevalentemente nel Mezzogiorno, di attività di sviluppo industriale, di attrazione degli investimenti, e di promozione di nuova imprenditorialità in funzione della creazione di nuova occupazione, anche attraverso l’assistenza alle Amministrazioni locali e centrali. Nel primo semestre del 1999, Sviluppo Italia completerà il riordino delle società coinvolte.

Con il decreto legislativo 123/1998 è stata completata la riforma del sistema di incentivazione alle attività produttive, ricondotto a tre schemi procedurali standardizzati (automatico, valutativo, negoziale). E’ stato creato un Fondo Unico che raccoglie tutti gli stanziamenti gestiti dal Ministero dell’Industria e avviato un decentramento nella gestione degli incentivi, orientato alla crescita delle responsabilità degli enti locali. Nel 1998 lo Stato ha impegnato 6.047 miliardi di lire (il 67% nelle aree depresse) nelle incentivazioni a favore di circa 57.000 imprese. La parte principale dei finanziamenti si basa sulla legge 488/1992: il quarto bando ha concesso agevolazioni per 3.700 miliardi, che a regime faranno salire l’occupazione di 43.533 unità.

Nel corso del 1998 è stata innovata e migliorata la procedura di selezione e finanziamento dei Patti territoriali. Essi sono ora selezionati tramite appositi bandi di gara con un nuovo iter che ha accresciuto la trasparenza e accelerato i tempi di attuazione. Nel 1999 il Dipartimento di Sviluppo e Coesione è impegnato nel potenziare, rafforzare e valorizzare i patti esistenti, già finanziati o in corso di attuazione e nel finanziare nuove iniziative.

I patti attualmente finanziati sono 46. Di questi:

- 12 (tutti nel Mezzogiorno) sono stati approvati nel 1997 con la "vecchia procedura". Nel corso del 1998 è stata accelerata l’erogazione delle risorse stanziate. A fine 1998 i decreti di concessione erano 70; all’aprile 1999 ammontavano a 102. L’occupazione che sarà attivata dalle iniziative che hanno già un decreto di concessione supera le 3.600 unità; fra di essi si distingue come "buona prassi", il Patto Territoriale di Lecce. Il Patto di Lecce, siglato dalle organizzazioni sindacali e imprenditoriali, dalla Provincia e da altre amministrazioni pubbliche, comprende 73 iniziative imprenditoriali. Esse svilupperanno investimenti per 106,9 miliardi con una occupazione aggiuntiva di 1783 unità. All'aprile 1999 erano stati emessi 58 decreti di concessione delle agevolazioni (di cui 48 in pagamento). Il Patto si muove in una logica di filiera; esso comprende: 1) infrastrutture mirate per lo sviluppo, in particolare del settore abbigliamento e calzature, in forte crescita nel territorio; 2) nuovi investimenti che determineranno un significativo rafforzamento complessivo del tessuto industriale dell'area. Aumentando la competitività complessiva dell'area, il Patto favorisce le dinamiche di emersione dal sommerso in corso (gl.11).

- 10 (di cui 9 nel Mezzogiorno) sono stati avviati a seguito dell’approvazione nel 1998, da parte della Commissione Europea, di un programma multiregionale " Patti Territoriali", a valere sui Fondi strutturali. All’inizio 1999 si erano attivate le procedure per l’accesso delle imprese ai finanziamenti;

- 24 sono stati approvati nel febbraio 1999 a seguito del primo dei nuovi bandi di gara. Tredici di essi sono nel Mezzogiorno 11 nel Centro Nord. Complessivamente prevedono 14.300 nuovi occupati.

A questi si aggiungeranno i 15 Patti Territoriali, presentati al finanziamento nell'aprile 1999, in risposta ad un secondo bando di gara del 1999. Sette di essi sono nel Mezzogiorno e 8 nel Centro Nord.

Sono stati finora assegnati: 910 miliardi circa ai 12 Patti territoriali approvati con le vecchie procedure, 728 ai 10 Patti approvati nel 1998, 1.515 miliardi ai 24 patti approvati nel febbraio 1999. Dei 3.425 miliardi complessivamente assegnati, 3.154 sono relativi a risorse nazionali. Al Sud sono stati assegnati 2.428 miliardi (77%), 726 al Centro-Nord (23%).

I Contratti d’area sottoscritti nel 1998 (Crotone, Manfredonia, Torrese-Stabiese, Sassari, Ottana, Gela e Terni) comprendono investimenti produttivi per 341,8 miliardi, con 1.898 nuovi posti di lavoro. Nell’ambito del contratto di Manfredonia è stato sottoscritto nel marzo 1998 un accordo di gemellaggio tra l’Associazione Industriali di Foggia e quelle di Treviso e Vicenza, buona prassi di collaborazione fra territori.

Nei primi mesi del 1999 sono stati sottoscritti altri contratti (Airola, Gioia Tauro, Agrigento e Messina), e i Protocolli aggiuntivi di Manfredonia 1 e 2, Ottana, Torrese-Stabiese, Sassari-Alghero-Porto Torres, Gela 1, Terni-Narni-Spoleto. Nel complesso questi contratti e protocolli sottoscritti nel 1999 stanno determinando investimenti per quasi 4.000 miliardi, di cui 2.600 costituiti da finanziamenti nazionali, con oltre 11.000 posti di lavoro. Restano da sottoscrivere nel 1999 i contratti La Spezia, del Sulcis-Iglesiente, di Potenza, di Salerno, del Molise.

Le risorse finanziarie disponibili per la Programmazione negoziata del quinquennio 1998-2002 ammontano a 10.815 miliardi: 5.100 per i Patti territoriali, fino a 3.000 miliardi per i Contratti d’area e non meno di 2.715 miliardi per i Contratti di programma. Per il 1999 sono disponibili nuove risorse per 2.540 miliardi di cui 1644 per Patti Territoriali, 650 per Contratti d'Area e 245,5 per Contratti di Programma. Con il documento "Orientamenti per il programma di sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006" approvato nel maggio 1999, il Governo ha indicato metodi e priorità per la programmazione operativa dei fondi comunitari, che avverrà nel corso dell'anno.

In questo documento il Governo fornisce un completo quadro delle risorse, di fonte comunitaria e di cofinanziamento nazionale, disponibili per i 7 anni in questione. Con il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, in elaborazione al maggio 1999, il Governo fornirà altresì un quadro delle risorse nazionali per lo sviluppo delle aree depresse, disponibili nello stesso periodo. Ciò determinerà un piano finanziario unitario per il periodo 2000-2006 che, oltre a garantire l'effettiva addizionalità delle risorse comunitarie, fornirà alle imprese locali ed esterne uno scenario certo, di lungo periodo, nel quale programmare i propri investimenti.

Iniziative sono in corso anche da parte delle Regioni. La regione Piemonte finanzia, ad esempio, con la legge regionale 28/1993 dei progetti di sviluppo locale per la creazione di nuove imprese e per lo sviluppo di quelle esistenti, per un importo di 25 miliardi in due anni.

 

………, nell'economia sociale, nel settore delle tecnologie ambientali e nelle nuove attività connesse al fabbisogno non ancora soddisfatto dal mercato, esaminando nel contempo - con l'obiettivo di ridurli - gli ostacoli che potrebbero agire da freno. In tale contesto si dovrà tener conto dello speciale ruolo svolto dalle autorità locali e dalle parti sociali;

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

Sulle dimensioni del settore non-profit in Italia ha pesato il contesto istituzionale, caratterizzato dal "monopolio" pubblico e da una ristretta offerta (salvo scuola e sanità) di servizi di interesse collettivo. Il settore non-profit è rimasto marginale fino alle leggi sulle organizzazioni di volontariato e sulle cooperative sociali (1991), dopo di che ha dimostrato grande vivacità nelle forme organizzative e nei modelli imprenditoriali. Il modello italiano è oggi, per alcuni aspetti il più avanzato in Europa. Esiste una disciplina molto innovativa sul non-profit (cooperative sociali e ONLUS), esistono nuove disposizioni (PSC, Società fra Professionisti) che possono facilitare la promozione cooperativa. Ciò è confermato dall'evoluzione recente delle Cooperative sociali attive e dalla loro occupazione.

La migliore stima sulle iscrizioni alle Centrali cooperative, basata sui dati del Ministero del Lavoro, degli Albi regionali e su ricerche sul campo, è la seguente:

 

 
1994
1995
1996
1997
1998
Cooperative sociali attive
2.300
2.800
3.400
4.000
4.800
Addetti
38.000
49.000
65.000
84.000
108.000

 

 

Dinamiche analoghe si sono avute anche per altre forme organizzative, dalle associazioni alle organizzazioni di volontariato.

Il Governo ha valorizzato il settore non-profit negli interventi contro l’esclusione sociale, per l’offerta di servizi culturali, per la tutela del territorio e per l’occupazione dei soggetti svantaggiati. Dopo la firma nell’aprile 1998 del Patto di solidarietà tra Governo e Forum del terzo settore, nel febbraio 1999 è stato sottoscritto il Protocollo di intesa aggiuntivo del Patto sociale, e nel marzo è stata istituita presso il Ministero del Lavoro una Commissione con il compito di proporre e monitorare azioni per lo sviluppo dell’occupazione nel settore. L’espansione del settore non-profit costituisce una linea politica di intervento importante per la realizzazione delle pari opportunità: tende a svilupparsi in aree in cui esiste in Italia una carenza di servizi (assistenza agli anziani; attività di supporto per handicappati e svantaggiati; servizi di cura per l’infanzia), agevolando quindi la riconciliazione lavoro-famiglia; tende a favorire le occasioni di lavoro aperte alle donne.

Lo sviluppo dell’economia sociale è stato perseguito anche con i provvedimenti per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per l’immigrazione, per aiuti alle famiglie con portatori di handicap grave, per l’introduzione sperimentale del reddito minimo di inserimento (gl. 4-9).

Nel 1998 sono stati finanziati dal Fondo sociale europeo e gestiti dal Dipartimento Affari Sociali: a) 139 progetti presentati da Regioni, Provincie, Comuni e Comunità montane nell’ambito degli Itinerari per l’inclusione sociale (50 miliardi); b) 27 progetti per servizi e professioni nell’area del tempo libero, vita associativa, cultura e ambiente (11,5 miliardi); c) programmi di riqualificazione dei quartieri urbani; d) programmi di raccolta differenziata dei rifiuti in applicazione del decreto legislativo 448/1898.

Come buona prassi può essere citato il progetto Meridia del consorzio CGM, per lo sviluppo dell’imprenditorialità sociale in Puglia, Calabria, Sardegna. Il progetto è stato rivolto alla formazione di dirigenti di cooperative e allo sviluppo di reti consortili; già nel 1998 sono stati ottenuti significativi risultati in termini di sviluppo di nuove attività economiche con concrete prospettive di mercato.

Prospettive per il 1999 e oltre

Il Governo intende proseguire nella politica di sostegno dell’economia sociale. La legge finanziaria 1999 prevede esenzioni fiscali e sostegni all’occupazione nell’economia sociale.

In particolare: estensione dell’esenzione dall’IVA anche alle prestazioni sociali svolte da cooperative sociali; sgravio dei contributi INPS per tre anni ai nuovi assunti dalle cooperative sociali; autorizzazione alla IG a formare cooperative sociali per l’inserimento al lavoro di soggetti svantaggiati (300 miliardi per il 1999-2001); estensione alle cooperative e imprese sociali di tutti gli incentivi pubblici relativi a benefici di qualsiasi genere previsti dalle norme vigenti per l’industria; finanziamento di 35 miliardi per detrazioni fiscali di spese sostenute per l’assistenza ai non autosufficienti.

Sono stati selezionati 5 progetti per lo sviluppo di capitale sociale locale nell’ambito dei Progetti pilota (art. 6, Fondo Sociale). La legge 461/1998 per la riforma delle Fondazioni bancarie impone a sua volta di destinare almeno metà degli utili ad attività istituzionali (cultura, istruzione, ricerca, attività sociali), che possono essere svolte in misura rilevante da imprese sociali. Il decreto legislativo 448/1998, che prevede finanziamenti per la raccolta differenziata dei rifiuti, l’informazione ambientale e la creazione di isole ecologiche, sostiene a sua volta le iniziative locali in materia.

E’ in discussione in Parlamento una proposta di legge quadro per un sistema integrato di servizi alla persona e alla comunità, con l’istituzione di un Fondo nazionale di 500 miliardi per il 1999, per costruire reti integrate di servizi alla persona e alle famiglie con particolare attenzione agli anziani non autosufficienti. In applicazione del principio di sussidiarietà, il settore non-profit coopererà alla programmazione, alla progettazione e alla gestione delle reti di servizi.

Altre misure sono previste nella delega per il Governo in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale, in discussione in Parlamento: in particolare, si prevede di escludere dal pagamento dell’IVA il settore dei servizi alla persona e alla comunità, e di estendere la deducibilità delle spese sostenute dai singoli e dalle famiglie per l’assistenza ad anziani, bambini e soggetti svantaggiati, per le attività di formazione e riqualificazione professionale e di formazione permanente e per i servizi sanitari.. Entro il 1999 il Governo intende pervenire a una nuova normativa sull’impresa sociale che renda disponibili più forme giuridiche per un esercizio non-profit di attività economico-produttive tale da svilupparne la crescita e la competitività.

A livello regionale e locale sono numerose le iniziative in materia. Ad esempio, la Regione Piemonte offre finanziamenti agevolati alle imprese cooperative formate da soggetti "deboli", con una dotazione finanziaria di circa 8 miliardi l’anno. La regione Emilia ha varato diversi progetti per l’imprenditorialità cooperativa; di questi, uno rivolto al ricambio generazionale ha coinvolto circa 400 operatori. Le Confcooperative di Lombardia, Umbria, Marche, Veneto ed Emilia-Romagna hanno partecipato a progetti per l’innovazione nel sistema dei servizi e per la valorizzazione delle risorse umane. Altri progetti sono stati varati da Amministrazioni Comunali, come a Potenza e a Roma.

 

GL 13. svilupperanno condizioni quadro volte a sfruttare appieno il potenziale occupazionale del settore dei servizi e dei servizi connessi con l'industria, ad esempio, attraverso lo sfruttamento del potenziale occupazionale della società dell'informazione e del settore ambientale per creare posti di lavoro più numerosi e migliori.

 

Il contesto, sviluppi nel 1998, monitoraggio delle iniziative e prospettive per il 1999

In Italia, la quota di occupazione nei servizi sta continuando ad aumentare; tuttavia l’Italia rimane sensibilmente indietro rispetto alla media dei partner europei e agli spazi di crescita dei servizi. L’andamento dell’occupazione è stato comunque condizionato dai processi di ristrutturazione aziendale e societaria, che negli anni ’90 hanno comportato cali di occupazione nei trasporti (80.000 dipendenti in meno soltanto nelle Ferrovie dello Stato), nelle comunicazioni e nelle attività finanziarie.

Nel settore del commercio il Governo ha avviato una liberalizzazione delle licenze e degli orari - la "legge Bersani" - al posto della stringente tutela amministrativa che limitava lo sviluppo imprenditoriale. Nel maggio 1999 è entrato in vigore il decreto legislativo approvato nel 1998 in attuazione della delega di Disciplina del Commercio. Il provvedimento attenua i vincoli merceologici riducendo il numero di tabelle da 14 a 2 (alimentari e non alimentari), e semplifica il regime delle autorizzazioni, in particolare per gli esercizi di più modeste dimensioni: l’apertura di nuove attività; il trasferimento e l’ampliamento di sede. Questi atti sono oggi sottoposti alla semplice comunicazione al Comune, in sostituzione della licenza precedentemente prevista.

Sono altresì all’esame del Parlamento norme relative alla riforma dell’ordinamento delle professioni e delle società professionali, con lo scopo di ridurre le rigidità corporative e rendere più agevoli nuove iniziative, e quindi nuova occupazione, nel campo dei servizi professionali.

Dalla riforma del commercio deriverà un incremento dell’occupazione, anche in congiunzione al diffondersi di occupazione a part-time (già in aumento nella grande distribuzione, organizzata su orari lunghi di apertura al pubblico). La liberalizzazione degli orari di apertura potrà offrire opportunità lavorative addizionali per alcuni gruppi di lavoratori (part-time per i giovani in ingresso, part-time week-end per studenti, contratti con orari lavorativi ridotti per donne con carichi familiari). Inoltre, l'ampliamento dell'apertura dei negozi in orari non convenzionali potrebbe favorire una diversa condivisione di alcune attività domestiche all’interno della famiglia, favorendo quindi la riconciliazione.

Proseguendo nella politica di liberalizzazione dei mercati e dei servizi, il Governo ha approvato il 21 aprile 1999 un disegno di legge che prevede il graduale passaggio (da realizzarsi entro giugno del 2000) nella gestione dei servizi pubblici comunali a rilevanza industriale (di erogazione di acqua e gas, nonché di trasporto collettivo e di gestione dei rifiuti solidi) a società per azioni. Ciò avverrà, senza discriminazioni tra potenziali operatori (le gare saranno aperte anche a gestori europei), attraverso il metodo dell'affidamento della gestione per periodi medio-lunghi mediante gara. Il disegno di legge prevede anche che altri settori di servizio possano essere individuati attraverso regolamento governativo e svolti in regime di concorrenza con il rilascio di una semplice autorizzazione comunale. Dal provvedimento il Governo attende sia un miglioramento della qualità del servizio per i cittadini, sia uno sviluppo delle attività.

L’attenzione crescente al tema dell’ambiente ha condotto al finanziamento di alcuni programmi specifici nel settore della prevenzione e della gestione dei rifiuti (gl. 12). Nella valorizzazione dell’occupazione nel settore ambientale, il Governo si muove lungo due direttrici: programmi specifici indirizzati ad individui disoccupati da lungo termine (programmi di LPU attivati nel settore dello smaltimento rifiuti e recupero del territorio); promozione dell’occupazione legata alla valorizzazione delle risorse ambientali, cui sono destinate crescenti risorse pubbliche. Nel 1999 la legge 488/92, di incentivazione agli investimenti delle imprese nelle aree depresse del paese, verrà estesa anche al turismo, con il finanziamento di uno specifico bando di gara.

Rendere il sistema fiscale più favorevole all'occupazione e invertire a lungo termine la tendenza verso l'aumento degli oneri fiscali e dei prelievi obbligatori sul lavoro (passati dal 35% nel 1980 a oltre il 42% nel 1995). Ciascuno Stato membro: GL 14. fisserà, se necessario e tenendo conto del livello attuale, un obiettivo di riduzione progressiva del carico fiscale totale e, laddove appropriato, un obiettivo di riduzione progressiva della pressione fiscale sul lavoro e dei costi non salariali dello stesso - in particolare per quanto riguarda il lavoro scarsamente qualificato e a bassa retribuzione - senza mettere in discussione il risanamento delle finanze pubbliche e l'equilibrio finanziario dei sistemi di previdenza sociale. Esaminerà, se del caso, l'opportunità di introdurre un'imposta sull'energia o sulle emissioni inquinanti ovvero altro provvedimento fiscale.

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

La riduzione della pressione fiscale - sia quella tributaria che quella contributiva - costituisce un obiettivo prioritario del Governo. In particolare, il perseguimento di una più contenuta incidenza del fisco sul reddito nazionale è considerato dal Governo la principale opportunità offerta dal risanamento finanziario e dal forte ridimensionamento degli interessi passivi sul bilancio pubblico.

Da circa tre anni l’Italia è impegnata in un profondo riassetto del sistema fiscale. Nel quadro di un rigoroso controllo dei flussi delle entrate, sono obiettivi fondamentali: a) la semplificazione della struttura tributaria e delle procedure di riscossione; b) un maggiore decentramento fiscale; c) la progressiva diminuzione del carico fiscale sulle famiglie e sulle imprese. Scopo della riforma è quello di liberare risorse a favore degli investimenti e dei consumi privati, di creare un ambiente più favorevole alla formazione del capitale e di incidere in maniera diretta sulla creazione di occupazione.

La pressione fiscale nel corso del 1998 è diminuita dell’1,2%, passando dal 44,8 al 43,6% e quella contributiva dal 15,5 al 13,4%, per la minore incidenza del prelievo sul lavoro e sui costi non salariali. L’abolizione dei contributi sanitari cui è dovuta tale diminuzione è stata bilanciata dall’introduzione dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (Irap), contabilizzata tra le imposte indirette, che ha comportato per le imprese una minore incidenza di circa 10.000 miliardi del gettito delle imposte cancellate.

Oltre all’Irap, nel 1998 sono stati attuati numerosi provvedimenti tesi ad agevolare gli investimenti produttivi e l’aumento dell’occupazione. In particolare: è stata introdotta la dual income tax, esplicitamente destinata a favorire la capitalizzazione delle imprese; è stato introdotto nella forma di un credito d’imposta un incentivo destinato alle assunzioni aggiuntive nelle aree meridionali, del Paese, entrato a regime nel settembre-ottobre 1998 (gl 4); sono state rese operative le agevolazioni fiscali alle ristrutturazioni edilizie con una detrazione d’imposta del 41%, che nel 1998 ha prodotto 19.300 miliardi di interventi agevolati e che proseguirà nel 1999.

Nel 1998, con l’approvazione del collegato alla Legge finanziaria 1999, sono stati adottati altri provvedimenti per la graduale riduzione del carico fiscale. In dettaglio: gli oneri contributivi dovuti dalle imprese sul lavoro dipendente sono stati ridotti dello 0,82%; gli oneri contributivi sono stati cancellati per il 1999-2001 nel caso di assunzioni aggiuntive effettuate dalle imprese situate nel Mezzogiorno (gl 4); la fiscalizzazione degli oneri sociali - d’intesa con l’Unione Europea - è prorogata nel Mezzogiorno fino al 2001 (gl 4); i contributi all’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale sono dimezzati fino al 2001 per i lavoratori autonomi sotto i 32 anni che decidono di avviare un’attività economica nel Mezzogiorno (gl 4); il 60% della "Eurotassa" è stato rimborsato alle famiglie.

Il collegato alla Legge finanziaria ha anche introdotto in Italia, a decorrere dal 1999, la carbon tax, in base alle conclusioni della Conferenza di Kyoto e nella forma di un’imposta sui consumi di lire 1.000 per tonnellata di carbone e altre materie utilizzate negli impianti di combustione. E’ altresì previsto un aumento progressivo delle accise su carburanti e combustibili. Questo accresciuto prelievo è destinato a finanziare, tra l’altro, la riduzione degli oneri sociali gravanti sul costo del lavoro.

Prospettive per il 1999 e oltre

Oltre ai suddetti provvedimenti, e nel rispetto delle compatibilità finanziarie previste dal Patto di stabilità, il Governo ha predisposto ulteriori iniziative legislative per ridurre la pressione fiscale:

a) Per il 1999 e il 2000, l’investimento in nuovi beni strumentali viene agevolato fiscalmente con un’aliquota ridotta al 19%, rispetto a quella ordinaria del 37%, tassando la parte del reddito d’impresa corrispondente al minore di due valori: l’investimento netto in beni strumentali nuovi, e l’incremento patrimoniale netto; queste agevolazioni sono cumulabili con la dual income tax.

b) Viene ridotta la pressione fiscale sulle abitazioni attraverso un riordino della tassazione del settore a partire dal 2000; già dal 1999 aumentano le agevolazioni sulla prima casa con un incremento della deduzione Irpef (da 1.100.000 a 1.400.000 lire).

c) Il Governo è delegato a emanare entro 9 mesi norme che: riequilibrino la pressione delle imposte sui redditi, tenuto conto dei risultati nella lotta all’evasione fiscale; la migliore efficienza dell’amministrazione finanziaria e i conseguenti recuperi di gettito vengono legati a un ridotto prelievo sui redditi delle famiglie, soprattutto di quelle a basso reddito; rafforzino i meccanismi della dual income tax portandoli a regime in tempi più rapidi e allargando alle ditte individuali la platea dei soggetti interessati; riformino la fiscalità dei fondi pensione e delle altre forme di previdenza complementare, con l’obiettivo primario di uniformare la tassazione gravante su di essi a quella operante sul risparmio gestito.

 

GL 15. esaminerà, senza esservi obbligato, l'opportunità di ridurre l'aliquota IVA sui servizi a largo impiego di manodopera non esposti a concorrenza transnazionale.

Il contesto, sviluppi nel 1998 , monitoraggio delle iniziative e prospettive per il 1999

Il Governo intende rendere operativa la direttiva dell’Unione Europea che consente la riduzione dell’IVA per i settori ad alta intensità di lavoro. Sulla base di stime effettuate da alcune associazioni di categoria, la riduzione di un punto dell’aliquota media si tradurrebbe in una rapida creazione netta di 74.000 posti di lavoro e in uno stimolo aggiuntivo di crescita pari a 4.800 miliardi di lire all’anno (lo 0,25% circa del prodotto interno lordo). E’ allo studio, in particolare, la riduzione dal 20 al 10% dell’aliquota IVA nel settore delle costruzioni. In connessione con le agevolazioni fiscali alle ristrutturazioni edilizie (gl.14), tale determinerà un forte impulso agli investimenti nel settore dell’edilizia residenziale.

In linea con quanto sottolineato dal Consiglio Europeo del febbraio 1999 circa la potenzialità dei settori culturali nella creazione di posti di lavoro, il Governo ha abolito l’imposta sullo spettacolo. Questo si tradurrà in un recupero di ricavi valutabile tra i 110 e i 130 miliardi l’anno per il solo settore cinematografico. Il Governo sta inoltre introducendo agevolazioni particolari del regime IVA: per gli spettacoli cinematografici e sportivi (sino a un massimo di 25.000 lire per biglietto) l’IVA scenderà dal 20 al 10%.

 

III. INCORAGGIARE L'ADATTABILITÀ DELLE IMPRESE E DEI LORO LAVORATORI

Modernizzare l'organizzazione del lavoro. Al fine di promuovere l'ammodernamento dell'organizzazione del lavoro e delle sue forme si dovrebbe sviluppare una forte partnership a tutti i livelli appropriati (a livello europeo, nazionale, settoriale, locale, nonché a livello delle imprese): GL 16. le parti sociali sono invitate a negoziare, a tutti i livelli, appropriati accordi volti a modernizzare l'organizzazione del lavoro, comprese formule flessibili di lavoro, al fine di rendere produttive e competitive le imprese e raggiungere il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza. Questi accordi possono vertere sull'annualizzazione delle ore di lavoro, sulla riduzione dell'orario di lavoro, sulla riduzione degli straordinari, sullo sviluppo del lavoro a tempo parziale, sulla formazione lungo tutto l'arco della vita e sulle interruzioni della carriera;

 

 

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

Secondo gli ultimi dati Istat, la contrattazione aziendale coinvolge 19.900 imprese, cioè il 9,9% di quelle con almeno 10 addetti (con 3,2 milioni di occupati, il 38,8% del totale). Nelle imprese del Sud è meno estesa, anche a parità di classe di addetti e di settore; nel Nord-Est è massima, specie nelle imprese con 20-49 addetti (32,1%). La contrattazione territoriale nelle aziende artigiane coinvolge invece il 63% degli occupati interessati. Una parte cospicua della contrattazione riguarda la ricerca di una maggiore flessibilità funzionale dell’organizzazione del lavoro e dei regimi di orario.

Lavora regolarmente a turni il 47,8% dei dipendenti di imprese con almeno 10 addetti. Il 34,4% degli occupati lavora di sabato, il 32,5% svolge lavoro notturno, il 22,8% effettua lavoro straordinario e il 21,9% lavora di domenica. Piccole e grandi imprese utilizzano ampiamente l’orario effettivo di lavoro per aumentare il grado di utilizzo degli impianti.

Il Governo ha posto al centro dell’azione politica la necessità di implementare, a tutti i livelli, appropriati accordi tra le parti sociali volti alla modernizzazione dell’organizzazione del lavoro. L’obiettivo di rendere produttive e competitive le imprese, e di raggiungere il necessario equilibrio tra flessibilità e tutela del lavoro, è ribadito nel Patto sociale.

Nel Patto vengono rafforzate le procedure e le iniziative già concordate nel 1993 e nel 1996. Queste intese prevedevano nuove modulazioni degli orari di lavoro e una formazione lungo tutto l’arco della vita, e i loro esiti sono confluiti nella Legge 196/1997. Dopo la definizione della relativa normativa di attuazione nel 1998, è ora necessario l’intervento delle parti sociali a livello locale e aziendale, per la stipula di contratti che sviluppino appieno le potenzialità di sostegno al sistema produttivo e lotta alla disoccupazione.

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Si afferma nel Patto: "Per le materie che incidono direttamente sui rapporti tra imprese, loro dipendenti e le rispettive organizzazioni di rappresentanza e non comportino un impegno di spesa a carico del bilancio dello Stato, ovvero per le parti normative di provvedimenti che, pur comportando indirettamente tali impegni di spesa, riguardino le medesime materie, incluse le relative discipline comunitarie, sarà invece definito un sistema di regole che indichi un percorso temporalmente regolamentato, atto a sviluppare i rapporti bilaterali delle parti sociali nella ricerca e individuazione di soluzioni coerenti con gli scopi e gli obiettivi della concertazione". Questa strada è già stata seguita nei primi mesi del 1999 anche per incoraggiare l’adattabilità delle imprese e dei loro dipendenti.

Le ampie forme di flessibilità contrattata previste dal Patto, con particolare riferimento a specifiche aree obiettivo, consentono di sperimentare meccanismi contrattuali che scambino riduzioni di orario con attività formative, o con la creazione di nuovi posti di lavoro. Le parti sociali sono chiamate a governare sia l’articolazione contrattuale sia il raccordo tra livello nazionale e locale/aziendale. L’implementazione del Patto consiste infatti nello sviluppo di intese locali e aziendali, coerenti con gli obiettivi nazionali, in relazione alla politica dei tempi di lavoro e alla formazione lungo tutto l’arco della vita.

Attraverso il rinnovo dei contratti nazionali e/o aziendali si sta dando attuazione alla legge del 1997, che prevede una modulazione annuale, mensile o pluri-settimanale degli orari di lavoro, l’introduzione di clausole più elastiche per il lavoro a tempo parziale e per il lancio del cosiddetto job sharing, anche per ridurre il ricorso al lavoro straordinario come strumento di flessibilità nella gestione della forza-lavoro.

Poiché il Patto estende la concertazione al livello territoriale coinvolgendo le Amministrazioni locali, nel quadro del trasferimento di compiti dello Stato a Regioni, Provincie e Comuni, è possibile prevedere entro il 1999 il raggiungimento di intese sia per raccordare gli orari di lavoro a quelli dei servizi e ai tempi della collettività, sia per coinvolgere le istituzioni formative locali (gl. 8).

Il Governo promuove e incentiva investimenti in materia di sicurezza del lavoro, soprattutto da parte delle piccole e medie imprese, e in materia di formazione per la sicurezza.

GL 17. Ciascuno Stato membro esaminerà l'opportunità di introdurre nella sua legislazione tipi di contratto più adattabili per tener conto del fatto che l'occupazione assume forme sempre più diverse. Le persone che lavorano nel quadro di un contratto di questo tipo dovrebbero beneficiare nel contempo di sicurezza sufficiente e di un migliore inquadramento professionale, compatibile con le esigenze delle imprese.

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

Negli ultimi anni, il Governo ha progressivamente legalizzato o comunque legittimato, sul piano sociale e nella prassi amministrativa, numerose nuove tipologie contrattuali che rendono oramai assai ampia la gamma delle modalità di accesso all’occupazione e di utilizzazione flessibile del lavoro. Nel 1998 il Governo si è impegnato con le parti sociali a estendere le tipologie contrattuali, compatibilmente con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori. Dopo la legalizzazione del lavoro interinale e l’incentivazione contributiva all’utilizzo del lavoro a tempo parziale (legge 196/1997), il Ministero del Lavoro ha fornito le indicazioni amministrative sia per rendere operativo il job sharing anche in assenza di una specifica disposizione di legge, sia per consentire l’introduzione di clausole elastiche nello schema del lavoro a tempo parziale. Opportune iniziative sono poi state intraprese per l’ammodernamento dei rapporti di lavoro nella Pubblica Amministrazione, in particolare per il telelavoro (decreto legislativo n. 80/1998). La possibilità di realizzare forme di lavoro a distanza anche nella pubblica amministrazione può contribuire a facilitare la riconciliazione in un settore importante per l’occupazione femminile (gl. 21).

Nel 1998 si sono raccolti i risultati di precedenti riforme che hanno esteso il ricorso al lavoro a tempo determinato e al lavoro a tempo parziale. Così, anche se nello stock complessivo i lavoratori con contratto a tempo determinato sono appena il 4%, questo tipo di rapporto interessa ormai il 25% per cento dei nuovi assunti nelle piccole imprese e il 33% nelle grandi. Analogamente, anche se nello stock i lavoratori a tempo parziale sono meno del 10%, questo tipo di rapporto interessa oltre il 20% dei nuovi ingressi nelle grandi imprese (mentre nelle piccole è ben poco presente).

Le rilevazioni Istat confermano che i nuovi occupati si devono a queste forme contrattuali flessibili, oltre che ai contratti di lavoro interinale, quelli stagionali, quelli di formazione e lavoro e quelli di apprendistato. E’ in espansione anche l’area del lavoro autonomo, soprattutto nella forma delle collaborazioni coordinate e continuative (1.480.380 lavoratori, di cui il 57% uomini e il 43% donne, secondo i dati Inps al 30 aprile 1999).

E’ ancora da valutare invece l’impatto del rilancio della formazione in alternanza, dell’apprendistato e dello stage, previsti dalla legge del 1997. Secondo dati ancora parziali, nel 1997-98 c’è stato un significativo incremento delle convenzioni di stage e dei soggetti coinvolti: un terzo delle Agenzie Regionali per l’Impiego, ad esempio, ha largamente superato il centinaio di stages attivati (fonte Isfol). Grande impulso è stato dato alle convenzioni con le Università. Per l’apprendistato, l’attivazione delle innovazioni legislative richiede ancora il concorso delle parti sociali. Nelle imprese artigiane, nell’industria metalmeccanica e in quella edile si segnalano comunque iniziative sperimentali, rispettivamente per 10.000, 5.000 e 2.000 apprendisti.

Va osservato che la distribuzione per sesso degli occupati nelle varie tipologie di lavori atipici è disomogenea, con una certa concentrazione dei maschi nelle forme contrattuali più facilmente trasformabili in lavori standard (apprendistato, formazione e lavoro) e delle femmine in quelle più instabili e/o marginali (contratti a tempo determinato, collaborazioni coordinate e continuative), oltre che nel lavoro interinale, e nel part-time. Allo scopo di monitorare gli effetti di genere delle misure di flessibilizzazione nell’acceso al lavoro, il Ministero delle Pari Opportunità ha attivato, nel 1998, un Osservatorio sulla flessibilità (gl. 20).

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Per sostenere il rilancio del lavoro a tempo parziale e frenare il ricorso ai pre-pensionamenti e alla cosiddetta "mobilità lunga", il Collegato alla legge finanziaria prevede di incentivare il tempo parziale di persone vicine all’età di pensionamento e l’assunzione a tempo parziale di giovani. Nel Patto sociale le parti "concordano sulla necessità di estendere i tirocini formativi in tutti i percorsi di istruzione e formazione, come strumento indispensabile di raccordo tra formazione e lavoro". Per la formazione degli apprendisti nelle imprese artigiane e nelle piccole imprese, il Governo si è impegnato a procedere attraverso sperimentazioni concertate "al fine di individuare percorsi e modelli formativi idonei alla realtà dell’imprenditorialità diffusa". Verranno altresì incentivate le attività di tutoring nelle imprese, "in funzione di crescita delle capacità di trasmissione delle competenze professionali da parte degli artigiani e del personale specializzato nelle imprese".

Un decreto legge del Ministro del Lavoro del 1999 prevede riduzioni contributive sostanziali (10%) per contratti a tempo parziale. Queste riduzioni sono ulteriormente aumentate per contratti che prevedono un incremento degli organici e per la trasformazione di contratti a tempo pieno in contratti a tempo parziale (questi ultimi fino ad un tetto massimo). Le risorse saranno distribuite nel 1999 in base al tasso medio di disoccupazione provinciale; dal 2000 in poi sulla base del numero di contratti effettivamente attivati. Il Ministero del Lavoro attuerà nel 1999 ulteriori misure, di carattere amministrativo e procedurale, volte ad incentivare l’uso del part time con l’obiettivo di ridurre sensibilmente il divario rispetto alla media europea (16,9%). Il Governo ha come obiettivo, nell’orizzonte 1999-2003, quello di avvicinare alla media europea il peso del part time sul totale dell’occupazione. Per il 1999, il Governo stima di poter accrescere l’occupazione di 100.000 unità attraverso il lavoro a part time; questo porterà a fine 1999 il peso del part time sul totale dell’occupazione intorno all’8% (7,3% nel 1998).

Governo e parti sociali intendono garantire la parità di diritti e di opportunità riconosciuti dalla legge, specie per la retribuzione, la tutela della salute e della sicurezza, la formazione professionale, gli inquadramenti e la crescita professionale, evitando che le nuove tipologie contrattuali siano insicure o destinate a determinati gruppi (donne, disoccupati di lungo periodo, giovani). Questo impegno ha avuto applicazione concreta nel recente contratto collettivo del turismo e negli accordi interconfederali sull’utilizzo del lavoro interinale.

Il Governo intende operare insieme al Parlamento per il varo di un corpo normativo, già approvato dal Senato e in corso di esame alla Camera dei Deputati, finalizzato a garantire tutele minime di pagamenti di contratti regolari, di formazione continua, di salute e sicurezza e di diritti sindacali ai lavoratori para-subordinati che, pur formalmente vincolati con schemi di lavoro autonomo, collaborano in via continuativa con un unico committente. Fulcro della tutela è il meccanismo della certificazione amministrativa dei rapporti di lavoro, volto a ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro e ad aumentare le certezze alle imprese che utilizzano mano d’opera fuori degli schemi del lavoro dipendente.

GL 18. Sostenere l'adattabilità delle imprese. Al fine di aumentare i livelli di qualifica all'interno delle imprese, gli Stati membri: riesamineranno gli ostacoli, in particolare fiscali, che possono frapporsi all'investimento nel capitale umano e, se del caso, prevederanno incentivi fiscali o di altro tipo per sviluppare la formazione nell'impresa; esamineranno altresì le nuove normative e rivedranno il quadro normativo esistente per verificare che contribuiscano a ridurre gli ostacoli all'occupazione e a migliorare la capacità del mercato del lavoro di adattarsi ai cambiamenti strutturali dell'economia.

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

In Italia, data la prevalenza della piccola impresa, (al dicembre 1996, il 47% degli addetti risultava impiegata in imprese con meno di 10 dipendenti), tradizionalmente l’attività formale di training dei lavoratori è stata a lungo limitata, ed è peraltro di difficile misurazione. Le attività formative degli occupati sono prevalentemente gestite dalle stesse imprese, anche all’interno di programmi che beneficiano di risorse pubblicheun connotato di per sé positivo, ma che tende a privilegiare i lavoratori potenzialmente più produttivi. La formazione fruita dagli occupati, è in aumento, soprattutto per le donne. E' però ancora significativamente inferiore a quella degli altri Paesi europei e molto squilibrata sul territorio, a sfavore del Mezzogiorno. Si registra tuttavia un crescente coinvolgimento anche della piccola e media impresa e un aumento delle strutture intermedie, su base locale, che aiutano le piccole imprese a individuare i loro fabbisogni formativi. Vi sono segnali positivi relativamente sia alla quantità, sia alla qualità dell’offerta di formazione degli occupati. Permane comunque l’esigenza di aumentare le occasioni di formazione (gl. 6) e di adeguarle alle nuove tecnologie, intensificando l’incentivo a coinvolgere anche la forza lavoro più debole.

Le azioni di formazione a favore degli occupati sono finanziate principalmente con il cofinanziamento del FSE (circa 573 miliardi impegnati nel 1998) e attraverso l’operatività della legge 236/1993. Nella rilevazione delle forze di lavoro relativa all’aprile 1998, gli occupati coinvolti in attività di formazione erano il 4 % del totale, per circa due terzi in attività formative in azienda. La legge 196/1997 ha provveduto a risistemare la materia attraverso l’istituzione della Fondazione per la Formazione Continua.

 

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Il Patto sociale ha ribadito l’impegno a rendere operativa la Fondazione per la Formazione Continua, secondo le modalità definite dal Regolamento di attuazione della legge 196/97. La Fondazione sosterrà la realizzazione di interventi di formazione continua previsti dai piani formativi aziendali e territoriali concordati tra le parti sociali, che saranno rivolti ai lavoratori dipendenti (operai, impiegati, quadri e dirigenti) e ai soci lavoratori delle imprese cooperative. Prendendo atto dell’importanza del lavoro autonomo nell’economia, prevede interventi destinati, con risorse specifiche, anche ai lavoratori autonomi. L’obiettivo è quello di raggiungere anche gli occupati in condizione di maggiore debolezza, sia relativamente al settore, sia alla condizione individuale. La Fondazione è finanziata attraverso il contributo dello 0,3% sul costo del lavoro. Il Patto contiene uno specifico impegno a rafforzare la formazione dei lavoratori nelle aree in ritardo di sviluppo (gl.6).

 

 

IV. RAFFORZARE LE POLITICHE IN MATERIA DI PARI OPPORTUNITÀ

 

Le donne incontrano tuttora particolari problemi nell'accesso al mercato del lavoro, nell'avanzamento professionale, nella retribuzione e nella conciliazione del lavoro con la vita familiare. Per tali ragioni è importante tra l'altro: garantire che politiche attive rivolte al mercato del lavoro siano disponibili per le donne in proporzione alla loro quota di disoccupazione; ridurre i disincentivi fiscali, ovunque ne esistano, sull'offerta di forza lavoro femminile; prestare particolare attenzione agli ostacoli che impediscono alle donne di avviare un'attività autonoma; garantire che le donne possano trarre benefici effettivi da un'organizzazione flessibile del lavoro. Pertanto, gli Stati membri: GL 19. adotteranno un approccio basato sull'integrazione di genere nell'attuare gli orientamenti in tutti e quattro i pilastri. Al fine di valutare significativamente i progressi realizzati in questo ambito, gli Stati membri dovranno prevedere sistemi e procedure adeguati di raccolta dei dati.

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

La situazione italiana presenta divari occupazionali di genere maggiori rispetto alle media dell’Unione Europea. L’obiettivo di garantire pari opportunità di lavoro a uomini e donne richiede quindi un approccio integrato delle politiche, sia in termini legislativi che in termini contrattuali. Dopo avere adottato la Direttiva di indirizzo del 1997, proposta dal Ministro per le Pari Opportunità e diretta alle amministrazioni statali per "promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne" e per "riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini", il Governo ha stabilito di verificarne lo stato di attuazione entro la primavera 2000, con particolare riguardo alla valutazione dell’impatto della riforma della Pubblica Amministrazione sul lavoro femminile. Nell’ambito del Patto sociale, i contraenti si sono posti il problema di come integrare la prospettiva di genere nei meccanismi e nei contenuti del dialogo sociale. Misure concrete sono state altresì individuate per rafforzare la partecipazione delle donne ai processi decisionali e negoziali in campo economico e sociale, con particolare riguardo alla contrattazione dello sviluppo locale.

Fra le misure per rafforzare la politica del mainstreaming e promuovere la presenza delle donne nei luoghi decisionali si segnalano: 1) la clausola 12 del Patto sociale, che introduce il principio della gender analisys nella concertazione: "il Governo e le parti sociali valuteranno, tra l’altro, le implicazioni dirette e indirette delle linee di azione concertate sulla realizzazione di pari opportunità tra uomini e donne non solo nelle occasioni di lavoro e di sviluppo professionale, ma anche di iniziativa imprenditoriale"; 2) la promozione di alcuni protocolli aggiuntivi sulle pari opportunità nell’ambito dei Patti territoriali per l’occupazione (gl.12); 3) l’indicazione di competenze femminili ai tavoli di concertazione interministeriali finalizzati alla programmazione dei Fondi strutturali europei 2000-2006.

 

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Il Governo e le parti sociali intendono proseguire i loro sforzi per dare attuazione effettiva alle politiche di mainstreaming concentrando gli sforzi in due direzioni: il rafforzamento della presenza delle donne in tutti i luoghi decisionali e la disponibilità di statistiche e di indicatori disaggregati che consentano di svolgere l'analisi dell'impatto di genere delle politiche economiche e del lavoro.

Le iniziative che si muovono in questa direzione sono numerose. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge sulla revisione del Sistema statistico nazionale volto ad eliminare l’inadeguata informazione statistica sui temi delle differenze di genere attraverso: 1) la disaggregazione di tutte le informazioni e assicurando l’eguale leggibilità dei dati relativi a uomini e donne; 2) la sistematizzazione della raccolta dei dati per sesso nelle diverse aree di interesse pubblico e progettando nuove rilevazioni sulla qualità della vita per tematiche sulle differenze di genere; 3) la costruzione da parte dell’ISTAT di una metodologia per la valutazione dell’impatto di genere; 4) la promozione di ricerche finalizzate all’analisi di genere.

Al fine di favorire una equilibrata valorizzazione delle competenze femminili nelle nomine spettanti al Governo, il Ministro delle Pari Opportunità (nell’ambito della delega già prevista) si impegna per la programmazione e la pubblicizzazione delle nomine al fine di consentire la presentazione in tempo utile di candidature femminili; e per la predisposizione presso il Dipartimento delle Pari Opportunità di un elenco di donne con alto livello di qualificazione nei diversi settori.

Infine va citata la delibera relativa al rafforzamento degli organi di parità mediante il consolidamento della rete delle Consigliere di parità nazionale, regionale e provinciale, con uno stanziamento di 20 miliardi per il 1999.

Tra le altre misure di recente proposte si ricorda lo studio di strumenti di analisi dell’impatto di genere delle politiche di sviluppo locale e delle iniziative finanziate dai Fondi strutturali, nonché la presenza ai tavoli di trattativa tra parti sociali e attori istituzionali delle Consigliere di parità; il rafforzamento del ruolo attivo delle donne nella contrattazione collettiva, attraverso azioni di sensibilizzazione e iniziative comuni tra donne dirigenti nelle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Nell’aprile 1999 le parti sociali e il Governo hanno convenuto che: 1) la nuova prassi di gender analysis sia reiterata in futuro anche attraverso la creazione di un nucleo di monitoraggio per l’impatto di genere della realizzazione del Patto sociale; 2) il documento di programmazione dei fondi strutturali 2000-2006 per il Mezzogiorno contenga misure specifiche per promuovere l’occupazione, l’occupabilità e la formazione delle donne; 3) il sistema degli incentivi alle imprese e al lavoro sia riordinato e razionalizzato per rafforzare la promozione e l’incentivazione dell’occupazione femminile.

Affrontare il problema della discriminazione tra donne e uomini. Gli Stati membri e le parti sociali dovrebbero provvedere affinché la loro volontà di promuovere le pari opportunità si concretizzi in un aumento dell'occupazione femminile. Dovrebbero altresì prestare attenzione allo squilibrio esistente per quanto riguarda la presenza delle donne o degli uomini in alcuni settori di attività e in determinate professioni, nonché al miglioramento delle opportunità di carriera per le donne. Gli Stati membri: GL 20. si adopereranno per ridurre il divario tra il tasso di disoccupazione femminile e quello maschile, attraverso misure di sostegno attivo dell'occupazione delle donne e intraprenderanno iniziative volte a realizzare una presenza equilibrata delle donne e degli uomini in tutti i settori e in tutte le professioni. Avvieranno iniziative positive per promuovere la pari retribuzione per pari lavoro e lavoro di pari valore e ridurre i differenziali di redditi fra donne e uomini. Per ridurre i divari di genere, gli Stati membri prenderanno inoltre in considerazione un più vasto impiego di misure per la promozione della condizione femminile.

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

I problemi del mercato del lavoro femminile in Italia si possono così sintetizzare: basso tasso di occupazione rispetto alla media europea e differenze molto marcate a livello geografico; crescita contenuta, in valore assoluto, dell’occupazione in tutti gli anni ’90 (sebbene la crescita globale abbia continuato a privilegiare le donne); differenziale marcato e persistente nei tassi di disoccupazione per sesso; persistenti divari salariali per sesso e bassa presenza femminile nei livelli gerarchici più elevati; bassa incidenza dell’occupazione totale nei servizi con effetti di contenimento rispetto alla potenziale espansione dell’occupazione femminile; elevata presenza delle donne nei lavori atipici; sovra-rappresentazione delle donne nel lavoro sommerso sottopagato, specie nel Mezzogiorno e nei settori tessile, abbigliamento e calzature.

Il Governo è consapevole delle conseguenze sociali che il basso tasso di occupazione femminile assume nel paese, specie nel Mezzogiorno e ha pertanto rilanciato le pari opportunità (gl.19). Questa volontà politica si dovrà tradurre in una effettiva modifica dell’agenda in tema di politiche del lavoro. I provvedimenti più importanti per la promozione dell’occupazione femminile rimangono la legge 125/1991 sulle azioni positive e la legge 215/1992 sull’imprenditoria femminile.

La legge 125/1991 ha come scopi generali la promozione della occupazione femminile e la realizzazione dell’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro. La legge prevede: (i) la promozione diretta di azioni positive (attraverso aiuti finanziari alla realizzazione di progetti promossi da imprese, organizzazioni sindacali, centri di formazione); (ii) la promozione di pari opportunità nel lavoro, anche attraverso la rimozione di tutte le forme di discriminazione diretta o indiretta. Le figure istituzionali preposte all’attuazione della legge sono il Comitato Nazionale di Parità (CNP), la Consigliera nazionale di parità e le Consigliere di parità regionali e provinciali (si tratta di una buona prassi: un caso unico in Europa di disseminazione sul territorio di figure istituzionali di parità). Sulla base del finanziamento annuo previsto, il CNP valuta e seleziona i progetti da ammettere al finanziamento (v. prospetto). La situazione nel 1997-99 è illustrata in tabella.

 

 

Finanziamento (mld) Progetti presentati Progetti approvati
1997
7,951
363
37
1998
8,656
462
62
1999
9,000
333
In corso di valutazione

 

Le figure istituzionali connesse alla gestione della legge 125 hanno agito per rimuovere le discriminazioni dirette e indirette, attraverso la trattazione di casi di discriminazione individuali e collettive, che si sono concluse con conciliazioni volontarie, pareri, in qualche caso con azioni in giudizio. Nel 1998 i casi seguiti a livello nazionale sono stati 46 e hanno riguardato temi come le discriminazioni indirette a danno dei part-timers, i permessi per maternità, l’accesso al lavoro, la progressione di carriera e le molestie sessuali.

 

La legge 215/1992 dà contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati per avviare e sviluppare attività imprenditoriali femminili. I dati relativi al 1997 e al 1998 evidenziano: a) il successo del provvedimento in termini quantitativi; b) una certa carenza progettuale che rivela la necessità di interventi diretti a predisporre un’informazione adeguata e servizi di assistenza mirati; c) l’inadeguatezza dei fondi rispetto all’alto numero di progetti; d) la complessità delle procedure e delle strutture preposte. Nel corso del 1998 è stata realizzata una campagna informativa multimediale, con l’attivazione di un numero verde, che ha contribuito a migliorare il livello qualitativo delle domande (rilevabile dalla sensibile riduzione della quota di domande giudicate non ammissibili, v. tabella).

 

 

 
Finanziamento (mld)
Domande presentate
Domande ammissibili
Domande finanziate
1997
43
4109
2679
518
1998
80
4852
4014
912
1999
105*
.
.
.

 

* Bando non ancora attivato

Gli aumenti registrati dall’occupazione atipica (favoriti dalle recenti misure di flessibilizzazione) favoriscono la componente femminile, incentivando l’innalzamento del tasso di occupazione; esse potrebbero però innalzare per le donne il rischio di basse retribuzioni, instabilità occupazionale, indebolimento della posizione contributiva.

 

Per monitorare gli effetti di genere delle misure di flessibilizzazione nell’accesso al lavoro, il Ministero Pari Opportunità ha attivato nel 1998 un Osservatorio sulla flessibilità (finanziato nell’ambito del Quarto programma d’azione comunitario) che si propone di verificare: 1) in quale misura le politiche di incentivazione dei lavori atipici hanno favorito in termini quantitativi la componente femminile; 2) in quale misura l’avviamento al lavoro attraverso forme contrattuali "flessibili" agevola l’inserimento stabile nell’area dell’occupazione e in quale misura invece introduce forme di marginalizzazione permanente della componente femminile.

 

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Le leggi 125/1991 e 215/1992 hanno prodotto risultati significativi, ma inferiori alle loro potenzialità. Alcune misure recenti mirano a superare i limiti rilevati.

Per potenziare l’efficacia della normativa esistente, la legge 215 è stata rifinanziata con uno stanziamento di 105 miliardi per il 1999; inoltre, è stato predisposto un nuovo regolamento di attuazione che semplifica le procedure e assegna una quota di risorse a Regioni e Province. Con decreto del Ministro delle Pari Opportunità, è stato istituito l’Osservatorio per l’Imprenditorialità femminile, al fine di a) censire e monitorare la strumentazione messa in atto, verificandone l’impatto e il rispetto delle pari opportunità tra uomini e donne; b) proporre alle autorità competenti iniziative per la promozione di nuova imprenditorialità femminile; c) facilitare l’accesso delle donne alle informazioni riguardanti la strumentazione esistente affinchè sfruttino al meglio le opportunità esistenti. Per rispondere a quest’ultimo obiettivo, l’Osservatorio si è dotato di un sito Internet inaugurato agli inizi del 1999, in grado di offrire un servizio costante di informazione, orientamento e accompagnamento, disponibile su tutto il territorio, facilmente accessibile, e interattivo.

La legge 125/1991 è stata rifinanziata ed è stato inoltre approvato un provvedimento per il potenziamento e la qualificazione delle attività delle Consigliere di Parità. In particolare, è stato istituito un fondo di 20 miliardi, al fine di valorizzare il ruolo delle Consigliere, rafforzando le funzioni relative al rispetto delle norme antidiscriminatorie e al contenzioso in sede conciliativa e giurisdizionale, nonché la partecipazione delle Consigliere al processo di decentramento delle politiche del lavoro in atto nel paese.

Sviluppo Italia ha creato di concerto con il Ministero Pari Opportunità un gruppo strategico per l’imprenditoria femminile allo scopo di dare forte impulso all’imprenditorialità e allo sviluppo locale. Infine, il CNP ha recentemente deliberato di avviare alcune iniziative volte ad approfondire l’analisi e la riflessione sull’andamento dei differenziali per sesso in Italia; in particolare, è stata avviata la procedura per promuovere uno studio rigoroso dell’andamento dei differenziali retributivi per sesso nell’ultimo decennio (al fine di evidenziare il ruolo del mutamento istituzionale sulle dinamiche in atto).

 

Conciliare lavoro e vita familiare. Particolarmente importanti per le donne e gli uomini sono le politiche in materia di interruzione della carriera, congedo parentale e lavoro a tempo parziale e regimi di lavoro flessibili che rispondano agli interessi sia dei datori di lavoro che dei lavoratori. Al riguardo, si dovrebbe accelerare e sorvegliare periodicamente l'attuazione delle pertinenti direttive e accordi delle parti sociali. Occorre altresì fornire sufficienti strutture di buona qualità per la custodia dei bambini e l'assistenza alle persone non autosufficienti, al fine di favorire l'ingresso e la permanenza delle donne e degli uomini sul mercato del lavoro. A questo proposito è fondamentale un'adeguata ripartizione delle responsabilità familiari. Per rafforzare le pari opportunità, gli Stati membri e le parti sociali: GL 21. studieranno, attueranno e incoraggeranno interventi volti a promuovere politiche in favore delle famiglie, compresi servizi di assistenza economicamente sostenibili, accessibili e di alta qualità per i figli e altri familiari a carico, nonché regimi relativi al congedo parentale e ad altri tipi di congedo.

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

In Italia è troppo diseguale la distribuzione di genere nella condivisione del lavoro di cura e resta tuttora inadeguata una diffusione di servizi per i bambini più piccoli. La combinazione di questi due fattori rende la presenza nel mercato del lavoro difficile per le donne con figli, soprattutto se il reddito percepito è basso. Ciò può comportare talvolta l'uscita dalla vita attiva o la rinuncia della maternità. Rispetto ai problemi specifici dell’occupazione femminile il Governo ha privilegiato gli interventi in tema di conciliazione fra lavoro, vita familiare e formazione, e tutela della maternità. Questo tema ha ricevuto la maggiore attenzione sia per le azioni adottate sia per gli impegni assunti.

Le azioni intraprese riguardano l’approvazione di importanti misure legislative dirette a facilitare la riconciliazione. L’insieme dei provvedimenti, ha fra gli obiettivi principali quello di estendere le tutele legate alla maternità e gli incentivi alla conciliazione anche alle figure atipiche: costituisce un importante strumento per prevenire eventuali effetti negativi della diffusione di forme di lavoro flessibile (gl. 20).

Sono state approvate misure legislative dirette a facilitare la riconciliazione, in particolare: 1) un decreto del Ministero del Lavoro (maggio 1998) ha esteso le prestazioni di maternità alle lavoratrici autonome e alle collaboratrici coordinate e continuative prive di altra copertura previdenziale, istituendo un assegno di parto; 2) la legge 25/1999, allinea l’ordinamento italiano con gli orientamenti comunitari in materia di lavoro notturno, superando il divieto notturno per le donne; la legge, oltre a porre in linea l’ordinamento italiano con le norme comunitarie, prevede anche norme dirette a riequilibrare le responsabilità familiari fra uomini e donne; fa riferimento ad attività di cura diverse dalla cura dei bambini, con attenzione alle famiglie mono-parentali. E’ riconosciuto infatti il diritto sia al padre sia alla madre a essere esentati dal lavoro notturno fino al compimento di 3 anni di vita del bambino (o 12 anni per le mono-parentali).

Nel Patto sociale, le parti hanno convenuto che "la riduzione del carico contributivo si realizzi attraverso lo spostamento sulla fiscalità generale degli oneri sociali legati di funzioni che afferiscono alla cittadinanza sociale, a partire dalle garanzie di reddito in caso di maternità". I capitoli del Patto sociale relativi alla parziale fiscalizzazione dei contributi per maternità e assegni familiari hanno rilevanza anche nell’ottica della conciliazione. Infine, vi sono diversi esempi di buone pratiche in tema di conciliazione nella contrattazione collettiva di livello aziendale.

Fra le azioni promosse dalle parti sociali nel 1998 in tema di riconciliazione sono esempi di buone prassi: 1) il progetto "Valore Donna", nato da un accordo aziendale nelle telecomunicazioni e successivamente finanziato dal Comitato Pari Opportunità: esso prevede una "Banca delle ore" che consente ai dipendenti con figli (1-8 anni) una particolare flessibilità dell’orario, con crediti e addebiti di ore; nei primi mesi di applicazione la Banca è stata utilizzata da un centinaio di dipendenti; 2) l’accordo aziendale siglato in un’azienda di credito: esso prevede forme differenziate di part-time, alcune delle quali per favorire la conciliazione famiglia-lavoro attraverso un modello di flexi-time fra lavoro straordinario e riposi compensativi, e la possibilità di usufruire in modo flessibile dell’aspettativa per motivi familiari prevista dal contratto nazionale.

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Il Governo intende proseguire e rafforzare l’impegno intrapreso nel 1998 a favore di misure orientate a facilitare la riconciliazione e la creazione di occupazione nel terzo settore (gl.12). La legge finanziaria 1999 ha infatti aumentato la quota di risorse a ciò destinate. A livello nazionale, sono in discussione due importanti disegni di legge: il primo, sui congedi parentali, è entrato nella fase di approvazione in Parlamento; il secondo, sul potenziamento dei servizi per la prima infanzia, è ancora in fase iniziale.

E’ stato costituito un Fondo presso la Presidenza del Consiglio (390 miliardi per il 1999, 400 per il 2000 e 405 per gli anni successivi) per assegni ai nuclei familiari con almeno tre figli minori. E’ stato inoltre istituito un assegno di maternità per le donne inoccupate che non beneficiano del trattamento previdenziale di maternità (25 miliardi per il 1999, 125 per il 2000 e 150 per gli anni successivi). Si tratta di misure collegate al reddito e volte a ridurre il peso economico dei figli nelle famiglie numerose e i costi della maternità per le donne non occupate.

Su iniziativa del Ministro per la Solidarietà sociale, il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge per la realizzazione, lo sviluppo, la qualificazione e la gestione di un sistema di servizi per i bambini con meno di 3 anni. Per il 1999 è previsto un finanziamento di 300 miliardi allo scopo di incentivare le amministrazioni locali a realizzare servizi per l’infanzia di qualità e diversificati.

E’ in discussione in Parlamento il disegno di legge sui Congedi parentali e tempi delle città, che prevede: 1) il diritto individuale per entrambi i genitori ad assentarsi dal lavoro per periodi non superiori ai 10 mesi nei primi 8 anni di vita del bambino, oltre che alternativamente nei casi di malattia del bambino; 2) misure a sostegno della flessibilità dell’orario di lavoro (part-time reversibile, di telelavoro, e di Banche delle ore) volte a conciliare tempi di vita e di lavoro con l’erogazione di incentivi alle aziende che applichino accordi favorevoli alle persone con responsabilità familiari; 3) programmi di formazione per il reinserimento dopo eventuali periodi di congedo, congedi per la formazione non retribuiti, ma con diritto alla conservazione del posto, nonché altri congedi per lavori di cura in relazione al coniuge, al convivente, al parente entro il secondo grado. L’ambito del disegno di legge investe anche gli orari della città; è questo uno degli aspetti più interessanti ed innovativi messi in atto in Italia negli anni ’90, a livello locale, sul tema delle politiche dei tempi. Il disegno di legge propone il tema del coordinamento orizzontale degli orari della città con l’obiettivo di incentivare l’esperienza sperimentata con successo in varie città.

 

Facilitare il reinserimento sul mercato del lavoro. Gli Stati membri: GL 22. presteranno particolare attenzione alle donne e agli uomini che intendono reinserirsi sul mercato del lavoro dopo un periodo di assenza e, a tal fine, esamineranno i mezzi atti a sopprimere progressivamente gli ostacoli che si frappongono al reinserimento.

Il contesto, sviluppi nel 1998 e monitoraggio delle iniziative

In Italia il modello di partecipazione al lavoro prevalente per le donne con carichi familiari era caratterizzato dalla permanenza in attività fino alla nascita del primo o del secondo figlio e dall’uscita dal mercato con l’appesantirsi del carico familiare. Negli ultimi 15 anni, con l’innalzarsi del livello di istruzione, è andato aumentando il numero di donne (madri) che rimangono attive per tutto l’arco della vita lavorativa. Il modello partecipativo delle donne in Italia ha così assunto un andamento simile a quello degli uomini, ma sensibilmente più basso. Tuttavia, le donne con bassa istruzione continuano a uscire dalla vita attiva nelle classi centrali di età per la difficoltà di conciliare vita lavorativa e vita familiare, senza rientrarvi anche per le scarse opportunità lavorative.

Il problema del reinserimento delle donne nel mercato del lavoro dopo eventuali periodi di interruzione per lavoro di cura non è mai stato oggetto di specifiche misure. La strada tradizionalmente seguita si è fondata prevalentemente sulla legge 1204/1971 di tutela della maternità, che garantisce alle donne occupate dipendenti un insieme di garanzie per il mantenimento del posto di lavoro, e un sistema di congedi e di permessi per favorire la riconciliazione.

 

 

Prospettive per il 1999 e oltre

Recentemente, alcune delle norme esistenti a sostegno della maternità sono state modificate (gl. 21) con il duplice obiettivo di armonizzare la normativa italiana a quella europea e di adeguarla ai mutamenti del mercato del lavoro. All’interno di un insieme vasto e complesso di interventi (che richiederanno una normativa di revisione coordinata), sono state recentemente proposte alcune misure esplicitamente volte a favorire il reinserimento delle donne nel mercato del lavoro. Tra queste si ricorda il disegno di legge sui congedi parentali (gl.21), che prevede il diritto a rientrare sul posto precedentemente ricoperto, oltre a prevedere un’attività formativa specificatamente orientata ad favorire il rientro dopo periodi di congedo.

Nell’ambito del progetto quadro comunitario sull’autoimpiego e l’imprenditoria femminile, i ministeri del Lavoro e delle Pari Opportunità hanno predisposto un piano di azione, con uno stanziamento di 31 miliardi, per il reinserimento e l’impiegabilità di donne adulte fuoriuscite dal lavoro nelle regioni del Centro-Nord.

E’ in discussione in Parlamento un testo unificato in tema di orario di lavoro che prevede incentivi per il part-time e per la riduzione dell’orario, anche per facilitare il reinserimento nel mercato del lavoro dopo periodi di inattività.


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