La battaglia di Don Chisciotte della Manca:
Federico Righi intervistato da Antonio Graziano.
I mulini a vento contro cui Federico combatteva, dopo aver costituito il coordinamento dei LSU del Catasto, erano il frutto delle ingiustizie, grandi e piccole, che si compivano allora nel paese; ed erano frutto dei difetti e delle arretratezze del nostro sistema, che non era capace, ed ancora non lo è, di garantire i principi costituzionali. Il Lavoro.
Il mio amico, infatti, aveva avuto un'illuminazione.
Un bel giorno, aveva capito che per cambiare le cose, almeno nel loro ristretto ambito ministeriale, bastava lavorare di fino e organizzare un gruppo ben compatto, perché le donne e gli uomini che facevano parte del progetto catasto non chiedevano altro per giocare la carta del loro futuro, e si era buttato a capofitto in quell'impresa, di cambiare il pensiero comune per cambiare il loro stato sociale, con tutto l'entusiasmo di cui lo sapevo capace.
Nellallora Ufficio del Territorio di Napoli e poi nell'intera nazione incominciarono a risuonare le sue gesta, che lo portavano quasi giornalmente a scontrarsi con una parte dei suoi stessi colleghi LSU e di ruolo, con i dirigenti, con l'autorità massima rappresentata dallallora ministro Visco, infine, con l'opinione pubblica, che aveva non pochi pregiudizi nei confronti dei lavoratori socialmente utili.
Quest'ultima, era contraria in via di principio ad ogni genere di cambiamenti, e spesso si manifestava nelle pagine di cronaca con articoli velenosissimi relativi ad una loro paventata inutilità, al grave peso sociale che essi costituivano e dei pericoli derivanti dai loro poco ortodossi metodi di lotta sociale messi in campo per ottenere un lavoro stabile di tutti i disoccupati (LSU-LPU).
Un giorno chiesi a Federico perché tutti ce l'avevano con lui, e lui mi guardò scuotendo la testa. " Chiunque avesse rinunciato al proprio personale interesse, - mi rispose, - per fare un lavoro meno importante dal punto di vista economico e forse anche più impegnativo dellordinario comune, adesso si troverebbe a dover affrontare le mie stesse difficoltà e a subire le mie stesse critiche".
Io, a dire il vero, non pensavo che il mio ruolo di difensore sociale fosse meno importante del suo, ma non rítenni di dover iniziare una discussione su quell'argomento, anche perché mi toccava in prima persona, e conoscevo le difficoltà di fondo.
Federico mi spiegò che è il tavolo di trattativa, il luogo dove si decidono le sorti di tutti! Lui, purtroppo, aveva impiegato un po' di tempo per accorgersene, ma alla fine se ne era accorto capendo i "sistemi" per determinare i tavoli; e aveva capito anche il significato di quella massima del presidente Mao Tze Tung, che recitavano: "Non dobbiamo essere soltanto capaci di distruggere il mondo vecchio, dobbiamo essere anche capaci di costruirne uno nuovo ". Aveva studiato le gesta sindacali del passato e quelle moderne, le lotte del '68 i movimenti antiglobalizzazione, e ne aveva capito ed intuito le diversità e le debolezze, si era reso conto che la prima grande rivoluzione del sistema deve riguardare il ruolo del lavoratore, il quale è soggetto, e non oggetto, dell'attività lavorativa! Perciò, mi raccontò il mio amico, almeno nel suo ufficio aveva cominciato ad inculcare, lentamente e con non poche difficoltà, nuovi tipi di organizzazione e produzione, oltre che a variare le attività ed il modo di approcciarvi.
Aveva cambiato, gli orari rigidi e si era dato vita così ad una flessibilità lavorativa nel posto di lavoro, senza danneggiare standards, risultati e contenuti, non quella che fu intesa da Blair e Dalema.
Poi per la successiva presa di autocoscienza da parte di alcuni elementi del gruppo, proprio perché si trattò di una omocoscienza e non di una coscienza di gruppo, comiciarono a crearsi gravi distorsioni nel sistema organizzativo dovute più ad invidie personali ed a cattiverie gratuite piuttosto che ad una visione globale del bene collettivo. Sopraggiunse che comunque quelle persone godevano della sua stima, e non le considerava dei nemici, in quanto stessi naufraghi su una stessa zattera e dunque confidava in un loro sincero ravvedimento di posizioni con conseguente riavvicinamento alle politiche comuni.
Al centro dell'attività aveva messo la ricerca di sempre nuove e migliori condizioni di lavoro: che, mi disse, non può essere fatta soltanto sui libri e non può riguardare soltanto le cose che si sa già, ma chi fa questa attività deve essere costretto ogni volta a rimettersi in gioco a fianco del proprio collega, nella continua riscoperta dei meccanismi che regolano la vita sociale e umana, la politica, la circolazione delle idee e il progresso...
"E i tuoi colleghi, - lo interruppi: - cosa pensano di questi cambiamenti?"
Dalla smorfia che fece Federico, capii che c'erano delle difficoltà, e che il suo entusiasmo non era ancora arrivato a contagiare tutte le persone a cui si rivolgeva. Poi, però, il mio amico allargò le braccia e fece un gesto che significava: non si può voler tutto, nella vita! "Alcuni colleghi, - mi spiegò, - hanno capito la bellezza e l'importanza di ciò che stiamo facendo, e si impegnano per ottenere dei buoni risultati, tra questi ci sei anche tu. Ma non posso dire che questi soli meritano tutta la mia fatica; anche gli altri, che mi oppongono una specie di resistenza passiva, e approfittano di ogni occasione per crearmi problemi e per pugnalarmi alle spalle, (non capendo che facendo così pugnalano prima se stessi poi colpiscono me), infatti questi un giorno saranno tutti insieme a me per il bene comune. C'è anche un forte conservatorismo tra alcuni miei colleghi, che nasce dalla non conoscenza integrale dei fatti e dalla pigrizia, che a volte può manifestarsi in forme di chiusura a tutto e a tutti... "
Tornammo a parlare di questi argomenti nei giorni e nelle settimane che seguirono la firma del tanto sudato contratto di un anno, ero stato distaccato a Napoli e così ebbi la fortuna di seguire Federico da vicino.
Mi spiegò che gli ostacoli piú grossi per la nuova organizzazione di lotta venivano dall'ínterno del gruppo: proprio da parte di alcuni di quei colleghi che un tempo, coordinati, più si erano impegnati, nel costruire un nuovo sistema secondo il suo progetto, ma oggi, per velleità personale e forse per qualche torto subito, preferivano continuare a fare diversamente e nel modo che ritenevano più giusto per il loro unico interesse, ci sono molti sindacalisti di se stessi. Magari anche cavalcando la tigre delle proteste piú violente e inconcludenti: la rivoluzione del "vogliamo tutto" e del "rompiamo tutto ", " e dell'abbiamo diritto di..." che in realtà, mi disse il mio amico, non è una rivoluzione, ma è l'ultimo baluardo della reazione...
Gli chiesi quali erano le sue letture più frequenti, mi rispose seccamente oltre Eco e Bufalino La fabbrica del deficiente del Cavallini. Unopera fondamentale per capire in che direzione stiamo andando oggi.
Cosa bisogna fare e cosa non bisogna fare in un momento come questo, quando ci si assume la responsabilità di traghettare un gruppo di "nonpiùtantogiovani", dalle macerie del vecchio sistema sociale verso la società del terzo millennio".
Mi spiegò, che in Italia tutti i colleghi ex LSU sapevano cosa andava fatto e che se non ci si dovesse riuscire è solo perché qualcuno non aveva avuto il coraggio di non fare quello che non andava fatto.
Mentre mi faceva questi discorsi, a Federico brillavano gli occhi; e io ricordo di aver pensato che con quell'entusiasmo, e con quei programmi, la sua lotta contro il mulino a vento sociale sarebbe stata ancora forte e decisa ma conoscendo in larga massima i pensieri dei molti ed essendo un po meno positivista, che sarebbe durata ancora poco, ed il mulino avrebbe finito con il vincere.
Così, quelli che remavano contro solo per il gusto di farlo avrebbero potuto esultare al fallimento del loro amico Federico
. E così facendo autolesionismo esultare per la propria sconfitta!
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