nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), promosso con ordi-nanza emessa il 18 ottobre 2000 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti dalla Dirstat-Fi-nanze (ora Dirpubblica) contro la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altre, iscritta al n. 451 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visti l'atto di costituzione della Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica) nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei mini-stri; udito nell'udienza pubblica del 12 marzo 2002 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
uditi l'avvocato Michele Lioi per Dirstat-Finanze (ora Dirpub-blica) e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordi-nanza del 18 ottobre 2000, depositata il 7 febbraio 2001, sol-leva questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di pere-quazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, nonché, implici-tamente, all'art. 136 della Costituzione.
2. La questione è stata sollevata nel corso del giudizio avente ad oggetto due ricorsi proposti dalla Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica), in persona del legale rappresentante pro tempore, il quale ha agito anche in proprio, aventi ad oggetto l'annullamento di alcuni atti -decreti del Ministero delle finanze e decreti direttoriali- concernenti le procedure di riqualificazione per il personale del Ministero delle finanze ai sensi dell'art. 3, commi 205, 206 e 207, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).
2.1. Il Tar, in linea preliminare, dopo avere affermato la propria giurisdizione, espone che i ricorrenti eccepiscono
l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, commi 205, 206 e 207 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nel testo modificato dall'art. 22 della legge n. 133 del 1999, nella parte in cui sono
state sostanzialmente confermate le procedure selettive previ-ste dal testo originario dall'art. 3, comma 206 lettera b), della legge n. 549 del 1995 ed i corsi di riqualificazione per il personale del Ministero delle finanze, con riserva del settanta per cento dei posti vacanti al personale in servizio alla data del 31 dicembre 1998, realizzando in tal modo una cooptazione verso l'alto di questi ultimi dipendenti, nonostante non abbiano svolto, neppure di fatto, mansioni superiori.
Il giudice a quo deduce che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 1999, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 205, 206 e 207 dell'art. 3 della legge n. 549 del 1995, nella parte in cui «prevedevano la sostituzione del concorso pubblico con procedure selettive interne, in assenza di esigenze di rilevanza costituzionale che consentissero la deroga alla regola del concorso pubblico». L'art. 22 della legge n. 133 del 1999 ha modificato queste ultime norme, stabilendo che, con le procedure selettive da esse previste, può «essere coperta unicamente una aliquota dei posti vacanti determinata nella misura del 70 % nelle qualifiche interessate dalle procedure medesime».
2.2. Il Tar deduce che l'art. 22 della legge n. 133 del 1999 si porrebbe in contrasto con il principio secondo il quale la regola del pubblico concorso per l'assunzione del personale alle dipendenze della pubblica amministrazione sarebbe derogabile esclusivamente entro i limiti richiesti dall'esigenza di garantire il buon andamento dell'amministrazione, ovvero altri principi di rango costituzionale. A suo avviso, la sentenza della Corte co-stituzionale n. 1 del 1999 avrebbe infatti riferito la regola del concorso anche all'accesso ad una qualifica funzionale superiore, in quanto quest'ultimo costituirebbe una forma di reclutamento, che richiede un selettivo accertamento delle attitudini non restringibile ai soli dipendenti dell'amministrazione.
Secondo il rimettente, l'art. 22 della legge n. 133 del 1999 «non fa altro che confermare le procedure già previste dalla precedente normativa di cui alla legge n. 549/95» e, quindi, «nella sostanza viola il giudicato costituzionale confermando disposizioni dichiarate illegittime».
Inoltre, «la modifica legislativa», prevedendo una procedura selettiva interna e l'attribuzione a soggetti estranei all'amministrazione soltanto del 30 % dei posti disponibili, si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali di concorsualità (art. 51 Cost), di parità di trattamento (art. 3 Cost.) e di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione, garantiti dalla scelta dei più meritevoli (art. 97 Cost.).
Infine, la norma, stabilendo che i dipendenti dell'amministrazione finanziaria possono partecipare ai corsi di riqualificazione anche qualora non abbiano svolto, neppure di fatto, mansioni superiori, violerebbe gli artt. 3, 51 e 97 Cost., poiché realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento in danno di quanti non lavorano già alle dipendenze della p.a., permettendo l'accesso alla qualifica superiore da parte dei di-pendenti i quali non solo non hanno svolto le relative mansioni, ma sono anche privi del titolo di studio per essa richiesto.
3. Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
Secondo la difesa erariale le procedure di riqualificazione in esame consistono in una prova scritta, il cui superamento è condizione per l'ammissione al corso di riqualificazione, al termine del quale è prevista una prova teorico-pratica, allo scopo di accertare il possesso da parte del candidato della professionalità richiesta per la qualifica di riferimento. I criteri informativi delle prove e delle modalità di stesura dei questionari oggetto delle prove selettive sono stati elaborati da un gruppo di studio nominato con decreto ministeriale; le materie dei corsi e gli specifici percorsi formativi, in riferimento ai diversi profili professionali, sono stati anch'essi stabiliti con decreto ministeriale, sulla scorta delle proposte formulate da un apposito gruppo di lavoro. Le procedure di riqualificazione, a suo avviso, non determinerebbero una automatica progressione ad una qualifica superiore, ma realizzerebbero una adeguata selezione, assicurando la funzionalità degli uffici, la crescita personale e professionale dei cittadini nell'ambito del luogo di lavoro e la partecipazione dei lavoratori all'organizzazione ed al progresso della società.
L'interveniente deduce, infine, che la deroga alla regola del pubblico concorso sarebbe giustificata e che sarebbe altresì ragionevole la previsione in virtù della quale il possesso di una determinata anzianità nella qualifica immediatamente inferiore a quella oggetto del concorso costituisce un requisito alternativo rispetto al titolo di studio.
4. Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la Dirpubblica (già Dirstat-Finanze), facendo proprie le argomentazioni svolte dal Tar e chiedendo l'accoglimento della questione.
Nelle memorie depositate in prossimità dell'udienza pubblica la parte insiste nel sostenere che la norma impugnata riprodurrebbe quella già dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte e che l'ammissione alla procedura di riqualificazione, anche in mancanza del titolo di studio richiesto per l'accesso alla qualifica superiore, purché il dipendente vanti una certa anzianità di servizio nella qualifica inferiore, sarebbe irragionevole, in quanto quest'ultimo elemento sarebbe inidoneo a dimostrare il possesso della professionalità necessaria per l'attribuzione della qualifica più elevata. Inoltre, a suo avviso, la riserva del 70 % dei posti in favore dei dipendenti realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli aspiranti che possono
accedervi esclusivamente mediante una ordinaria procedura concorsuale.
5. All'udienza pubblica l'Avvocatura generale dello Stato e la parte costituita hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1. La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe ha ad oggetto l'art. 22 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), il quale -con il comma 1 lettere a), b) e c)- ha modificato i commi 205, 206 e 207 dell'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che disciplinano la copertura del 70% dei posti disponibili nelle dotazioni organiche dell'amministrazione finanziaria per i livelli dal quinto al nono, mediante apposite procedure di riqualificazione riservate al personale appartenente alle qualifiche funzionali inferiori, e con il comma 2 ha fatto salvi gli atti e i procedimenti già adottati.
Secondo il giudice rimettente, la norma impugnata "non fa altro che confermare le procedure già previste dalla precedente normativa di cui alla legge n. 549 del 1995", dichiarata illegittima da questa Corte con la sentenza n. 1 del 1999, cosicché la stessa norma, in quanto riproduttiva di disposizioni già dichiarate costituzionalmente illegittime, "nella sostanza viola il giudicato costituzionale". Inoltre "la modifica legislativa" censurata, prevedendo una procedura selettiva interna per il conferimento di una qualifica funzionale superiore e stabilendo che soltanto il 30% dei posti disponibili possono essere attribuiti a coloro che non sono già dipendenti dell'amministrazione finanziaria, derogherebbe ingiustificatamente alla regola del pubblico concorso, che riguarderebbe anche la fattispecie in esame, ponendosi così in contrasto con i principi costituzionali della parità di trattamento (art. 3 della Costituzione) e di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione).
Infine la norma censurata, disponendo che i dipendenti possono partecipare ai corsi di riqualificazione, anche se non hanno svolto, neppure di fatto, mansioni superiori, violerebbe, sotto altro profilo, gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, ponendo in essere una ingiustificata disparità di trattamento in danno di quanti non lavorano già alle dipendenze dell'amministrazione, consentendo inoltre l'accesso alla qualifica superiore da parte di dipendenti i quali non solo non abbiano svolto le relative mansioni, ma siano anche privi del titolo di studio richiesto per la qualifica stessa.
2. In via preliminare va precisato che il thema decidendum deve essere propriamente individuato -in base alle puntualizzazioni contenute nella motivazione dell'ordinanza di rimessione nella quale si dichiarano non manifestamente infondate le "dedotte questioni di legittimità costituzionale" relative all'art. 3, commi 205, 206 e 207 della legge n. 549 del 1995- nella disci-plina dei corsi di riqualificazione recata appunto dal suddetto art. 3, commi 205, 206 e 207 (modificato quest'ultimo, ma in modo non rilevante, dall'art. 88 della legge 21 novembre 2000, n. 342) della stessa legge, così come risulta dopo la "modifica legislativa" introdotta dall'art. 22 della legge n. 133 del 1999. Ed è pertanto sul testo così risultante, nonché sul comma 2 del citato art. 22, che va condotto il presente scrutinio di legittimità costituzionale.
3. Nel merito, la questione è fondata.
Si deve innanzi tutto osservare che molteplici sono le modifiche introdotte dall'art. 22 della legge n. 133 del 1999 alla disciplina in esame; in particolare si segnalano la riduzione dei posti riservati ai dipendenti dell'amministrazione finanziaria (art. 3, comma 205), l'esclusione di una progressione per saltum e l'impossibilità di esercitare, subito dopo l'ammissione al corso e sia pure in via provvisoria, le funzioni connesse alla qualifica superiore (art. 3, comma 207). Tali modifiche escludono pertanto, per il loro contenuto innovatore ed anche per l'intento dichiarato nel corso dei lavori preparatori della legge di recepire i principi stabiliti dalla citata sentenza n. 1 del 1999, che la disciplina denunciata possa essere considerata confermativa delle precedenti disposizioni dichiarate illegittime, superandosi così la prospettata censura di violazione del giudicato costituzionale.
Ma tuttavia non valgono ad evitare gli altri profili di censura incentrati sulla violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
Nella disciplina delle procedure di riqualificazione in esame permangono ancora, nonostante le modificazioni introdotte, alcune lesioni dei principi costituzionali in materia di organizzazione dei pubblici uffici. In particolare va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta "l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso" (cfr. per tutte: sentenza n. 320 del 1997,
sentenza n. 1 del 1999), in quanto proprio questo metodo offre le migliori garanzie di selezione dei soggetti più capaci. Il pubblico concorso è altresì un meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell'amministrazione, il quale può dirsi pienamente rispettato qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi; forme che possono considerarsi non irragionevoli solo in presenza di particolari situazioni, che possano giustificarle per una migliore garanzia del buon andamento dell'amministrazione.
L'art. 22, comma 1 lettera a), della legge n. 133 del 1999, nel riformulare il comma 205 dell'art. 3 della legge n. 549 del 1995, non ha però reso la norma conforme a questi principi. Ed infatti, anche se ha escluso che la totalità dei posti vacanti nelle dotazioni organiche delle varie qualifiche prese in considerazione sia attribuita all'esito di corsi di formazione professionale, ai quali sono abilitati ad accedere soltanto i dipendenti dell'amministrazione, riserva tuttavia ancora ad essi la totalità dei posti messi a concorso, pari a gran parte dei posti disponibili, per di più prevedendo una quota riservata che appare incongruamente elevata, così da realizzare una duplice, sostanziale elusione dei principi enunciati. Né, oltre tutto, all'epoca risultava bandito il concorso pubblico per la residua parte dei posti, mentre è noto che il modello concorsuale richiede che la sele-zione avvenga con criteri tali "da prevedere e consentire la partecipazione anche agli estranei, assicurando così il reclutamento dei migliori", e a tale modello si deve ricorrere anche per scongiurare "gli effetti distorsivi" che il criterio dei concorsi interni può produrre (sentenza n. 313 del 1994), attraverso forme di surrettizia reintroduzione dell'ormai superato sistema delle carriere, in contrasto con il canone del buon andamento dell'amministrazione
(sentenza n. 333 del 1993).
La previsione, nella disciplina censurata, non già di un concorso pubblico con riserva dei posti, bensì di un concorso "interno", riservato ai dipendenti dell'amministrazione per una percentuale dei posti disponibili particolarmente elevata -e per di più incongrua in quanto stabilita in mancanza di giustificazioni diverse da quelle già valutate negativamente nella sentenza n. 1 del 1999 appare pertanto irragionevole e si pone in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
3.1. Neppure le altre modifiche introdotte dall'art. 22 della legge n. 133 del 1999 alla disciplina recata dal citato art. 3 della legge n. 549 del 1995 riescono a superare le ulteriori denunce di illegittimità costituzionale prospettate nell'ordinanza di rimessione.
A questo proposito, va innanzi tutto osservato che, sebbene sia stata esclusa la previsione di una progressione per saltum, prima prevista per una delle qualifiche, risulta ancora attribuita al criterio dell'anzianità una funzione già censurata nella sentenza n. 1 del 1999, in quanto "del tutto abnorme". In realtà è proprio sul criterio dell'anzianità che sono fondate sia la riserva ai dipendenti della indicata percentuale dei posti disponibili, sia l'ammissibilità del conseguimento della qualifica superiore, anche in mancanza del titolo di studio prescritto. Ed infatti, dato che non è stata modificata la censurata genericità di contenuti della prova scritta di ammissione al corso, quest'ultima non appare idonea a garantire, di per sé, una seria verifica dei requisiti attitudinali, nonché ad evitare una sorta di automatico e generalizzato scivolamento verso la qualifica superiore.
La previsione, inoltre, che le materie del corso sono fissate con decreto ministeriale (art. 3, comma 206 lettera d) della legge n. 549 del 1995, come modificato dall'art. 22, comma 1 lettera b) della legge n. 133 del 1999) e che all'esito del corso i candidati sono sottoposti ad una prova di carattere teorico-pratico, soltanto indicata come "prova d'esame" (art. 3, comma 206 lettera e), come modificato dall'art. 22, comma 1 lettera b) della legge n. 133 del 1999), non consente di superare, in mancanza di ulteriori e più puntuali criteri, il fondato dubbio già formulato da questa Corte nella citata sentenza n. 1 del 1999 in ordine alla "idoneità di un tale modo di selezione a consentire una seria verifica della professionalità richiesta" dalle qualifiche considerate.
In definitiva, il complesso delle modifiche introdotte dalla norma impugnata non appare adeguato a rendere le procedure di riqualificazione in esame compatibili con i principi costituzionali.
Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dei commi 205, 206 e 207 quest'ultima norma in quanto logicamente ed inscindibilmente connessa con le prime due dell'art. 3 della legge n. 549 del 1995, così come modificati dall'art. 22, comma 1 lettere a), b) e c) della legge n. 133 del 1999. Va altresì dichiarata l'illegittimità costituzionale del comma 2 del citato art. 22 della medesima legge n. 133 del 1999, in quanto anche esso logicamente ed inscindibilmente connesso con le norme precedentemente indicate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, commi 205, 206 e 207 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come modificato dall'art. 22, comma 1, lettere a), b) e c) della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale);
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 22, comma 2, della medesima legge 13 maggio 1999, n. 133.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2002.
F.to:
Massimo VARI, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2002.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA