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lunedì 26 novembre 2001








IL Messaggero:

CHIUSI I SEGGI NEGLI UFFICI PUBBLICI

Statali, dopo il voto si prepara lo sciopero
ROMA — Negli uffici pubblici i seggi elettorali sono chiusi, ieri si sono contati i voti. Chi ha vinto? Tutti. Ha vinto la Cgil: "Dallo scrutinio emerge che la Fp-Cgil si conferma il primo sindacato, incrementando in termini percentuali ed assoluti il proprio consenso, e arrivando a rappresentare un lavoratore su tre nel mondo del lavoro pubblico". Ha vinto la Cisl: "I nostri risultati sono migliori dei precedenti. Siamo primi in centinaia di amministrazioni". Ha vinto la Uil: "I primi risultati confermano una grande affermazione delle liste Uil". Ovviamente hanno vinto anche gli autonomi: la Rdb "registra una forte avanzata", l’Usae (Unione sindacati autonomi europei) rivendica il ruolo di "unica alternativa credibile a Cgil e Cisl" perché "i lavoratori ci hanno premiato con percentuali a due cifre", l’Unionquadri festeggia i candidati eletti "quasi ovunque raddoppiati".
Oggi forse si conosceranno i numeri su scala nazionale e si capirà chi ha vinto davvero. La posta in gioco sono innanzitutto le rappresentanze sindacali nelle singole amministrazioni, quelle che dovranno discutere con i dirigenti i prossimi contratti integrativi. Ma c’è anche la presenza al tavolo delle trattative per il contratto nazionale: chi, fra voti e numero di iscritti, non raggiunge il 5% non potrà partecipare al negoziato. Inoltre si tratta di misurare il peso di Cgil, Cisl e Uil. Dato questo che verrà letto anche al di fuori del pubblico impiego. Un arretramento dei sindacati confederali e in particolare della Cgil offrirebbe al centrodestra un argomento in più per smarcarsi dal metodo della concertazione.
Negli ultimi tempi, per la verità, il governo non sembra molto interessato ad accentuare le divisioni tra la Cgil e le altre due sigle. Prova ne sia la vertenza sulla Finanziaria. I sindacati chiedono più risorse e chiedono di correggere l’articolo sulle esternalizzazioni, ma il governo finora non mostra grande disponibilità né su un punto né sull’altro. Così ieri i confederali in un documento comune hanno ripetuto di essere pronti allo sciopero generale: "Continuano a mancare le risorse", continua la "sistematica opera di destrutturazione della riforma delle Pubbliche Amministrazioni, senza regole, senza criteri e senza alcuna sede né di concertazione, né di dialogo sociale". In mancanza di risposte "si aprirebbe una fase di conflitto della quale il Governo si assumerebbe la piena responsabilità".





La Stampa:
(Del 24/11/2001 Sezione: Economia Pag. 17)

Mario Sensini
ROMA IL governo tiene duro sui saldi della Legge Finanziaria 2002, che dopo l´ok del Senato sta per affrontare l´esame della Camera. Non ci saranno, dunque, aumenti di spesa per il Pubblico impiego, nè verosimilmente verranno accolte le richieste dei Comuni di eliminare il tetto alla spesa. Difficile che possano essere inseriti nuovi stanziamenti per la ricapitalizzazione dell´Alitalia, e anche i fondi per l´impegno militare in Afghanistan verranno individuati con un decreto legge "ad hoc". Alla Camera arriveranno probabilmente gli sgravi fiscali per l´agricoltura, e saranno definiti i criteri per l´aumento delle pensioni minime a un milione, che dovrebbe riguardare 2,3 milioni di pensionati. "Certo, ci sono pressioni per l´aumento della spesa in molti settori, ma il quadro complessivo della manovra, 33 mila miliardi di cui 17 mila di correzione, deve essere mantenuto" spiega il sottosegretario all´Economia, Giuseppe "Terremoto" Vegas, come lo chiamano per la teancia con cui ha seguito passo passo la Finanziaria al Senato, trascinandola indenne all´esame della Camera.
Ora si prepara un nuovo assalto... "Logico che ci sia la richiesta di riaprire alcune questioni specifiche, ma il governo deve salvaguardare l´impianto complessivo, dobbiamo tenere duro sul contenimento della spesa. I saldi non si toccano". Quindi non ci saranno più soldi per i contratti del pubblico impiego, come chiedono i sindacati minacciando scioperi? "Difficilmente questo problema potrà essere risolto con la Finanziaria. C´è un "plafond" complessivo, ma bisogna valutare il quadro generale, in cui ci sono misure di sgravio per le famiglie, ad esempio, delle quali anche i pubblici dipendenti si gioveranno. Poi abbiamo calcolato un tasso di inflazione per il 2002 che probabilmente sarà superiore a quello che si registrerà, e questo apre un margine di manovra". Ci saranno aggiustamenti sui servizi pubblici locali? "Il testo del Senato può funzionare. Potremo rivedere qualche cosa, ma non modificare la struttura". Gli agricoltori chiedono sgravi fiscali, arriveranno? "Ci stiamo lavorando, probabilmente riusciremo a risolvere il problema". Poi ci sono i Comuni, che chiedono di far saltare il tetto alla spesa... "Questo metterebbe in crisi il Patto di Stabilità interno e gli impegni che abbiamo con Bruxelles. Non è possibile, come chiede l´Anci, riferire il tetto alla spesa del 2001, perchè ancora non la conosciamo. Non è logico fare modifiche, non lo abbiamo fatto con le Regioni. Poi dobbiamo abituarci al federalismo: il nuovo articolo 119 della Costituzione non è il gioco del cerino tra Stato, Regioni, Province e Comuni. Anche il Senato si è sentito "bypassato" dall´accordo sulla Sanità con le Regioni, ma dobbiamo rassegnarci al federalismo e alla nuova Costituzione". Ci sono poi le emergenze, come i fondi per l´Alitalia e per la guerra in Afghanistan. Troveranno copertura alla Camera? "La Finanziaria non è lo strumento adatto. Per Alitalia la ricapitalizzazione si risolve con un´emissione obbligazionaria, per l´Afghanistan si interverrà con un decreto legge". E i collegati con le deleghe su fisco, pensioni e lavoro? "Arriveranno alla Camera, come promesso. Solo che sarà un po´ difficile farli approvare entro la fine dell´anno. Non c´è una questione di pregiudizialità per la Finanziaria stessa: se i collegati, che non hanno funzione di reperimento delle risorse previste nella legge, saranno approvati a gennaio non sarà un grande problema".







Il Sole24Ore

MERCATO DEL LAVORO
Bankitalia: la flessibilità spacca l'ItaliaSecondo il rapporto sull'economia delle Regioni le nuove forme contrattuali stanno rivoluzionando il mercato del lavoro, acuendo il divario tra Nord e Sud
Una netta frattura che distingue tra un Nord flessibile e ormai capace di sfruttare pienamente le opportunità offerte dalle nuove formule contrattuali e un Mezzogiorno ancora ingessato in cui la flessibilità fatica a trovare spazio. È il quadro che emerge confrontando i dati di Bankitalia sul mercato del lavoro, contenuti nei rapporti sulle economie delle 20 regioni italiane.
Pur non disponendo di dati completamente omogenei, la tendenza alla discontinuità tra Nord e Sud Italia si delinea con sufficiente chiarezza. "La capacità dei tessuti economici più maturi - spiega Bankitalia - di recepire con maggiore prontezza le formule contrattuali improntate alla flessibilità si esemplifica nei tassi di crescita di forme di lavoro come il part-time o il lavoro interinale".
Il caso del Nord-Est è esemplare: in Friuli il numero di "missioni di lavoro interinale" è salito nel 2000, rispetto al '99, del 156% e il monte ore del 183 per cento. In Veneto, la percentuale dei lavoratori a tempo parziale rispetto al totale degli occupati arriva al 10% e il numero di missioni di lavoro interinale ha ampiamente superato le 42mila unità.
Pur con tassi di crescita lievemente inferiori, anche il Nord-Ovest ha allungato il passo sul versante della flessibilità. In Lombardia i lavoratori part-time sono cresciuti del 7,5%, superando le 350mila unità (il 79,5% è donna) mentre le richieste di impiego di lavoratori in affitto sono salite del 75,8% sul '99. In Liguria l'utilizzo del part-time è aumentato del 22,2% (questi lavoratori sono il 12,3% del totale dell'occupazione dipendente complessiva) mentre il ricorso al lavoro interinale è raddoppiato rispetto al '99.
In una regione piccola come la Valle d'Aosta, il tasso di crescita del lavoro interinale è stato del 150% nel periodo maggio-dicembre 2000. L'utilizzo delle diverse forme di flessibilità ha trovato spazio di applicazione anche nelle regioni del Centro-Italia che, pur con tassi di crescita consistenti, presentano comunque incrementi inferiori al Settentrione. Nel Lazio il part-time è aumentato dell'8,4%, attestandosi al 7,4% degli occupati complessivi, ma il lavoro interinale rappresenta ancora una risorsa poco utilizzata: la quota di questi lavoratori sul totale degli occupati è pari allo 0,6% contro lo 0,9% della media nazionale.








IL Corriere della sera

"Chi vuole lavorerà anche fino a 85 anni"

Maroni: non ci sarà più limite d’età per andare in pensione. Liquidazioni, sindacati e imprese frenano

ROMA - Se uno vorrà, potrà restare al lavoro "anche fino a 85 anni". Roberto Maroni ricorre a un’immagine forte per spiegare la liberalizzazione dell’età pensionabile attorno alla quale ruota la sua proposta di riforma della previdenza. Non ci sarà più un’età fissa (65 anni per gli uomini e 60 per le donne), ma si potrà andare in pensione prima o dopo, "senza alcun limite", precisa il ministro del Lavoro, e "purché ci sia l’accordo tra le parti", cioè tra il dipendente e l’azienda. Per favorire l’intesa il governo è disposto a rinunciare ai contributi a favore dell’Inps (33% nel caso dei lavoratori dipendenti).
Spiega Maroni: "Che cosa fare di quel 33% è una cosa che lo Stato lascia alla libera contrattazione tra le parti. L’azienda può decidere di trasferire per intero quel 33% al lavoratore, aumentando di conseguenza la sua retribuzione. Oppure di darlo in parte al dipendente o di tenerselo in parte o tutto per sé, in modo da ridurre il costo del lavoro". Il ministro ha consegnato ieri la bozza della riforma al collega dell’Economia, Giulio Tremonti. "Che deve solo verificare se le virgole sono al posto giusto - dice Maroni - perché l’impianto era già stato discusso con lui".

BRACCIO DI FERRO - I due ministri negano dissensi tra di loro. E in effetti c’è accordo sulla liberalizzazione dell’età pensionabile e sul non toccare le pensioni di anzianità, che quindi non verranno toccate. Resta però un braccio di ferro tra i due dicasteri sulla riforma delle liquidazioni che pure è inclusa in questo disegno di legge delega sulla previdenza che il governo vuole presentare entro il 15 dicembre.
Ieri Maroni ha smentito la proposta di destinare parte del Tfr (trattamento di fine rapporto) al finanziamento degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, indennità di disoccupazione, eccetera): "L’ipotesi non c’è nel documento del nostro dicastero".
Però era stato proprio il suo sottosegretario, Alberto Brambilla, a lanciarla qualche giorno fa. Ma non è piaciuta all’Economia. Nel documento non c’è neppure l’ipotesi di trasferire parte del Trattamento di fine rapporto alle retribuzioni e parte ai fondi pensione col complicato meccanismo della cartolarizzazione.
Ipotesi, questa, partorita invece al ministero dell’Economia e che Tremonti porta avanti, nonostante la contrarietà del ministro Maroni.

IL NO DI CONFINDUSTRIA - La linea morbida scelta dal governo per non rompere con i sindacati viene bocciata dalla Confindustria. Che avverte: a queste condizioni non siamo disponibili a sbloccare il Tfr (finora fonte di finanziamento a buon mercato per le aziende).
"Se il governo vuole rinunciare a una riforma vera - dice il direttore Stefano Parisi - rinunci pure. Sicuramente le imprese dicono che il Tfr non si tocca". Confindustria è disponibile a metterlo in gioco solo "se si riduce il peso della previdenza pubblica", cioè i contributi. Parisi boccia anche un’altra novità della proposta Maroni: la libertà del lavoratore di restare in attività fino a 65 anni (60 se donna) anche se ha raggiunto i requisiti per la pensione anticipata, senza che l’azienda possa mandarlo via.

LA SECONDA FASE - È quella che dovrebbe partire dopo il varo dei cinque punti della delega (incentivi per chi ritarda il pensionamento, liberalizzazione dell’età, certificazione dei diritti previdenziali, abolizione del divieto di cumulo, incentivi per i fondi pensione) e che dovrebbe affrontare il riequilibrio delle aliquote contributive e i sistemi di calcolo. Ma gil, Cisl e Uil avvertono che se resta in campo la fase due, non ci sarà accordo nemmeno sulla fase uno.







Il Messaggero

PARLA IL MINISTRO PER GLI AFFARI REGIONALI

La Loggia: "Per il federalismo ci vuole tempo"
ROMA - Il ministro per le Riforme Bossi, afferma che il Quirinale interferisce nel suo progetto di devolution e, quasi per rappresaglia, propone di diminuire il numero dei giudici costituzionali nominati dal capo dello Stato per passarli alla competenza delle Regioni. Che ne pensa il collega ministro delle Regioni, Enrico La Loggia, che siede al fianco del Senatùr nella "cabina di regia" sul federalismo?
"Mah, la questione della scelta dei giudici della Consulta va meglio definita. E, infatti, Bossi non l’ha ancora presentata. Quindi, credo che un approfondimento su come realizzare la partecipazione delle Regioni all’elezione dei membri della Corte debba essere ancora condotto. Il primo a saperlo è lo stesso Bossi".
Ma il Senatùr, sul proprio progetto di devolution, sembra essersi irrigidito. Parla di "alleanza messa alla prova" e di "manovre democristiane" nella maggioranza...
"Sinceramente, per quanto riguarda la devolution, non vedo alcun tipo di differenziazione all’interno della maggioranza. Bossi è stato molto prudente, nel progetto del quale mercoledì abbiamo fatto un primo esame in Consiglio dei ministri non c’è cenno alla Corte costituzionale. Noi stiamo concentrandoci sull’attuazione della riforma del titolo V della Costituzione, sulla parte delle competenze della legislazione esclusiva delle Regioni e dello Stato, che è fonte di preoccupazioni".
Lei, infatti, ha parlato di "rischio altissimo di contenzioso". Perché?
"Perché il sistema della legislazione concorrente, parte allo Stato e parte alle Regioni, si presta a sconfinamenti tra l’uno e le altre. Per questo c’è il rischio di un enorme contenzioso che necessariamente andrebbe a ingolfare il lavoro della Consulta. La legislazione concorrente è di per sé uno strumento sbagliato per la realizzazione del federalismo".
E cosa bisognerebbe fare?
"Bisognerebbe separare in maniera netta le legislazione esclusiva dello Stato da quella delle Regioni. Cercare di eliminare o ridurre al massimo la legislazione concorrente. La "cabina di regia" dovrebbe appunto servire a segnare dei confini un po’ più precisi in queste materie controverse".
Torniamo a Bossi. Lui dice che tra sei mesi inizia il vero federalismo...
"Penso anch’io che i tempi non dovrebbero essere lunghi. La devoluzione è certamente sul tappeto e camminerà abbastanza speditamente, ma avrà bisogno almeno di un annetto per andare in porto. Le procedure costituzionali sono quelle che sono, impongono le doppie letture di Camera e Senato a distanza di tre mesi...".
Se poi arriveranno conflitti tra lei e Bossi in cabina di regia...
"Non credo proprio. Ci occupiamo di due cose distinte che cammineranno certamente in armonia. Io lavoro sulla riforma già fatta e lui su quella da fare. Certo, bisognerà cercare di non mettere in piedi oggi qualcosa che che domani ci possa essere d’ostacolo con la nuova riforma".
Ora il presidente della Camera Casini, oltre che quella Stato-Regioni, chiede una cabina di regia anche per i Consigli regionali...
"Anche qui sarebbe meglio fare un po’ di chiarezza. Oggi ha preso il via questa cabina di regia con la partecipazione di rappresentanti di governo, Regioni, Comuni, Province. E’ ovvio che un momento di confronto anche con i Consigli regionali arriverà. Ma in una fase successiva".










Stefano Ferrari








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