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Mobbing e spleen

http://www.aidp.it/Art16/h16_18.htm




Intervista a:
Maria Grazia Cassitto


“…E lunghi funerali, senza banda né tamburi,
lentamente sfilano nella mia anima; la Speranza, disfatta,
piange; e l’Angoscia atroce, dispotica, pianta
sopra il cranio chinato la sua bandiera nera.”

Spleen
Charles Baudelaire


Instaurare un parallelismo tra “mobbing” e “spleen” è quanto mai azzardato e fuorviante. Il primo infatti è un “meccanismo” promosso da un soggetto o un gruppo di soggetti a discapito di una persona specifica, il secondo, lo spleen, è insito nella condizione umana che per Baudelaire è “condizione di irreparabile degradazione”. Nonostante le profonde differenze, le contraddizioni e le forzature che un simile accostamento può apportare, mobbing e spleen condividono un egualescenario psicofisico. In entrambi i casi infatti si sperimentano stati di prostrazione fisica e psichica intensi, senso di angoscia, di disperazione e di inadeguatezza. La complessità del mobbing è inoltre alimentata dalla complessità del luogo ove nasce e si sviluppa: le organizzazioni. Mai come in questi anni si è assistito a cambiamenti organizzativi e culturali profondi, cambiamenti che incidono sulla vita delle persone a volte con risvolti negativi.

Per comprendere meglio le caratteristiche di questo nuovo meccanismo – nuovo non perché insorto da poco, ma solo perché analizzato recentemente – abbiamo posto alcune domande a Maria Grazia Cassitto, che da anni si occupa della tematica.

Quando si parla di mobbing che cosa si intende? Una sorta di etichetta che comprende una serie di comportamenti specifici, un cappello al di sotto del quale stanno diversi tipi di molestie morali? Come possiamo definire il mobbing?

Mobbing è termine mutuato dal mondo animale. Si riferisce a quel meccanismo per cui in una popolazione animale un individuo viene espulso dalla comunità di appartenenza con dei comportamenti propri di allontanamento o di aggressività o perché considerato estraneo alla comunità animale stessa o perché ritenuto malato e in ogni caso pericoloso. In sostanza è un meccanismo di difesa grazie al quale un gruppo animale mantiene la sua omogeneità espellendo il “non simile” con comportamenti lesivi che in alcuni casi portano fino alla distruzione dell’individuo ritenuto “diverso/inadeguato”.

In ambito organizzativo si tratta sostanzialmente di molestie morali che vengono esercitate da parte di un individuo o di un gruppo nei confronti di un individuo e può essere esercitato sia in orizzontale, tra pari, o in verticale, capo-subordinato, subordinati-capo. Tale fenomeno ha acquisito una rilevanza maggiore in quest’ultimo decennio in relazione ai cambiamenti che sono sopravvenuti nel mondo del lavoro e nel più ampio contesto economico sociale della società in cui viviamo.

In passato il termine mobbing identificava soprattutto anomali rapporti interpersonali all’interno di realtà lavorative, adesso vediamo convivere questo tipo di mobbing con un altro tipo, che è caratterizzato da un insieme di comportamenti sistematici tesi all’eliminazione di un soggetto o di più soggetti da una realtà lavorativa che si sta modificando. Il mobbing oggi viene spesso utilizzato come meccanismo per risolvere problemi di ristrutturazione organizzativa, è un meccanismo molto più organizzato, premeditato e come tale indubbiamente più incivile.

Quando è nato l’interesse per questo tipo di “meccanismo” in ambiti organizzativi e quando in Italia si è cominciato a parlare di mobbing?

Benché in molte pubblicazioni si attribuisca agli americani il merito di aver avviato gli studi in questo ambito, i primi a occuparsene sono stati i Paesi scandinavi, sempre molto attenti alle problematiche dei diritti umani. Gli americani si sono soprattutto occupati di molestie sessuali e continuano a occuparsene moltissimo, molto meno invece di molestie morali, cioè di mobbing.

In Svezia il professor Leymann è stato il primo che, già quindici anni fa, ha iniziato a mettere a fuoco le caratteristiche del mobbing, quindi non solo a individuarne esistenza e rilevanza, ma ad attribuirvi caratteristiche specifiche, modalità di insorgenza, soggetti maggiormente colpiti e relative conseguenze psicofisiche. Esiste ormai una legislazione in materia, regole scritte che vigono all’interno delle realtà lavorative e che consentono sia ai datori di lavoro sia ai dipendenti di difendersi, di prevenire, di gestire le situazioni di mobbing qualora si manifestino. Leymann ha poi facilitato la diffusione e l’interesse per il mobbing, che si è spostato dai Paesi scandinavi alla Germania e in un secondo momento negli altri Paesi europei. Sembra che in Germania anche l’uomo della strada sia al corrente e sappia che cosa si intende per mobbing. Del resto, come esempio organizzativo, basti pensare che la Volkswagen ha all’interno delle sue varie divisioni persone cui rivolgersi nel caso in cui un dipendente ritenga di essere vittima di una situazione di persecuzione e di molestie morali. Anche sul territorio nazionale esistono sportelli d’ascolto.

Molto meno sensibili e veloci sono stati gli altri Paesi, Francia, Olanda, Svizzera e Italia, dove solo ultimamente inizia a diffondersi la cultura del mobbing. In Italia il mobbing è arrivato tramite un collega e collaboratore di Leymann, Harald Hege, ma già circa dieci anni fa Leymann era venuto da noi a fare una conferenza. Sin da allora avevamo potuto inquadrare il problema con chiarezza, anche perché l’abbiamo immediatamente collegato a situazioni riferite da soggetti che si vedono quotidianamente nell’esercizio della medicina del lavoro. Nel nostro istituto, infatti, vengono svolte visite di idoneità al lavoro e in queste occasioni, nel corso degli anni, abbiamo assistito a una crescita esponenziale del fenomeno mobbing. L’approccio al mobbing, come dicevo, è entrato in Italia con Harald Hege, di origine tedesca, che lavora a Bologna e che ha creato l’associazione – Prima – alla quale possono fare riferimento tutte le persone che ritengono di essere vittima di mobbing.

Dei pazienti che si rivolgono alla Clinica del Lavoro quanti lamentano situazioni riconducibili al mobbing? E nel corso degli ultimi anni ha avuto modo di riscontrare dei cambiamenti specifici a esso legati?

Negli ultimi due anni la stragrande maggioranza dei pazienti che si rivolgono al nostro Centro per lo studio, diagnosi e prevenzione del disadattamento lavorativo riguarda situazioni di molestie morali. Inizialmente vedevamo molte persone subire molestie morali da parte di colleghi e/o superiori, come conseguenza di anomali rapporti interpersonali che venivano declinati nella realtà in situazioni quali, per esempio, il capo che vittimizza un dipendente, il gruppo di lavoro che vittimizza un collega solo perché ritenuto diverso rispetto a banalità quali differenze di interessi sportivi, o a situazioni più serie quali i portatori di handicap. Adesso le situazioni che con maggior frequenza vengono portate alla nostra attenzione riguardano soggetti in situazioni di ristrutturazioni aziendali o fusioni, tipico caso in cui si deve eliminare personale in esubero. Il fatto che in alcune realtà lavorative esista personale in esubero è comprensibilissimo, ma è inaccettabile che il meccanismo a cui si fa ricorso non sia un meccanismo di chiarezza, ma determinato dall’utilizzo di mezzi subdoli.

Ci può fare un esempio pratico dell’utilizzo di quelli che definisce “mezzi subdoli”?

Le situazioni create dal meccanismo di mobbing sono le più diverse ma seguono un percorso abbastanza tipico. Senza preavviso, si sottraggono compiti prima svolti dalla persona “vittima” per darli ad altri collaboratori. Vengono inviate lettere nelle quali la persona è ripresa per mancanze inesistenti o del tutto trascurabili; si passa poi a isolare le comunicazioni e come conseguenza immediata la persona, non ricevendo più il normale flusso di informazioni, non è più in grado di svolgere il suo lavoro che quindi può essere ulteriormente stigmatizzato. Infine, spesso in occasione di una breve malattia o assenza, la persona torna e non trova più la segretaria, la stanza, addirittura la scrivania, oppure trova la scrivania completamente vuota con il telefono non collegato e il computer non in rete. Nessuna richiesta di spiegazioni verbali o scritte ottiene risposta.

Sono disponibili studi cross-culturali che evidenziano differenze e/o somiglianze tra i diversi Paesi e la tipologia di mobbing presente?

Non sono disponibili al momento studi cross-culturali, tuttavia da quello che noi possiamo osservare dalla letteratura, ci sembra di vedere che il mobbing in Italia ha caratteristiche leggermente diverse rispetto agli altri Paesi. Queste differenze sono in parte legate al nostro modo di gestire le situazioni personali/professionali e in parte legate al momento socioeconomico che stiamo vivendo.

All’estero, per quello che abbiamo letto, visto e saputo dai colleghi, è molto più tipico e diffuso il mobbing del primo tipo, che riflette un problema di rapporti interpersonali o di ambiente di lavoro malato tra individui, tra capo e subordinati e viceversa. In Italia c’è sicuramente ed è ugualmente diffuso questo tipo di molestia morale, ma emerge con maggior evidenza il secondo tipo che appare più specificamente italiano. In Italia, infatti, è presente una regolamentazione dei rapporti di lavoro più rigidi: per esempio la possibilità di licenziare o di spostare le persone lontano dalle zone di residenza ha regole diverse rispetto a realtà estere. Nel nostro Paese esiste tutta una serie di protezioni e tutele per il lavoratore che rendono difficile licenziare e/o spostare i lavoratori dalla sera alla mattina. Questa situazione fa sì che l’insorgenza del secondo tipo di mobbing sia molto frequente. Questo secondo tipo di mobbing è in un certo senso predeterminato: “Io ti voglio eliminare, ma per tutta una serie di vincoli non posso farlo, allora io ti dequalifico, mi accanisco sempre più fino al punto in cui non riesci più a sostenere la situazione e ti dimetti”.

Per quanto riguarda il confronto con altri Paesi è possibile sottolineare una caratteristica italiana già messa in evidenza da Hege, che riguarda il ruolo della famiglia. Rispetto alle altre realtà estere la famiglia ha per noi connotazioni particolari: è una realtà molto più presente, molto più interferente nella vita, molto più giudicante e protettiva, ma paradossalmente proprio per tutti questi aspetti a volte molto più condizionante e penalizzante. Al punto che spesso la famiglia non capisce che cosa sta succedendo e legge quello che la vittima racconta come suoi problemi (per esempio: “Te l’ho sempre detto anch’io che hai un caratteraccio”, oppure “Questo è il mondo del lavoro. Ti devi abituare e non badare se ci sono mancanze”).

All’estero sono molto più sensibili di noi, non perché siano più bravi, ma perché formalmente c’è una maggiore chiarezza sul percorso da compiere per invadere il “territorio” dell’altro.

Un altro aspetto rilevante è che spesso i nostri non parlano in famiglia di quello che succede al lavoro. Per esempio, abbiamo visto casi di persone che, licenziate in tronco, non dicono nulla alla famiglia e per mesi escono regolarmente la mattina e tornano la sera fingendo di essere andati al lavoro.

Come conseguenza del mobbing è possibile individuare una serie di patologie che ricorrono con frequenza?

Il mobbing ha una serie di conseguenze sulla salute psicologica e fisica delle persone. Inizialmente è presente una forte autocentratura nell’attribuzione della colpa, frasi tipiche e ricorrenti sono: “Sono io che mi sbaglio”, “Sono io che non capisco”. Il secondo momento, facilitato da un supporto famigliare scarso, è caratterizzato dalla solitudine: “Non può che capitare a me una cosa del genere”, “È una situazione talmente delirante che può succedere solo a me”.

A questo stato di isolamento e autocolpevolizzazione si accompagnano disturbi del benessere fisico che si manifestano a tre livelli: emozionale, psicosomatico, di comportamento. Il disturbo emozionale si caratterizza inizialmente con una ampia variabilità dell’umore, irritabilità e aggressività, ansia, depressione, attacchi di panico, facilità al pianto, un cambiamento radicale nel modo di reagire alle situazioni.

A livello psicosomatico l’insonnia è uno dei primi disturbi, vi è poi tutta una serie di alterazioni del corpo che sono molto soggettive. C’è chi somatizza con il mal di testa, chi con mal di stomaco, c’è chi tutte le mattine prima di andare a lavorare ha nausea e vomito, la famosa cervicale e mal di schiena, causati dallo sforzo di “tenere duro” e che porta il tronco a irrigidirsi. È presente in sostanza l’intera gamma dei disturbi psicosomatici, disturbo somatico indotto o sostenuto da un disturbo emozionale. Infine vi è la sfera del comportamento e delle relative alterazioni/modificazioni. Casi frequenti sono, per esempio, un massivo aumento del fumo in una persona che prima fumava poco, la perdita dell’appetito oppure una fame smodata, l’abuso di alcol, una chiusura progressiva nei confronti dell’esterno, non si vedono più gli amici, non si leggono più giornali e vi è una perdita di qualsiasi interesse che porta anche a un isolamento all’interno della famiglia. Nei casi in cui la situazione si protrae per molti mesi, talvolta per anni, si verificano casi di perdita della progettualità, di proiettarsi nel futuro. Le persone non vedono vie di uscita e questo è aggravato dal fatto che si tratta spesso di persone con età avanzata rispetto al mercato del lavoro.

Per trovare alternative nel mondo del lavoro queste persone dovrebbero presentarsi come figure vincenti, ma ciò è impossibile perché anche se in precedenza lo erano state in seguito al mobbing si percepiscono come vinte. Il protrarsi e il cronicizzarsi dei disturbi che abbiamo citato ai differenti livelli portano alla “sindrome post-traumatica da stress”, con conseguenze drammatiche anche a livello famigliare, divisioni, separazioni, rapporti difficoltosi con i figli.

A livello psicologico che tipo di approccio e strumenti vengono utilizzati per la diagnosi di questo meccanismo?

Nel nostro Centro per il disadattamento lavorativo, che è struttura comprendente un neuropsichiatra, uno psicologo e figure tecniche, viene fatta della diagnostica che ha come obiettivo iniziale quello di inquadrare le effettive situazioni di molestie morali. Ovviamente non tutti quelli che arrivano lamentando di essere vittime del mobbing lo sono effettivamente: esistono personalità disturbate, persone che hanno difficoltà di adattamento al modificarsi delle situazioni oppure soggetti che si reputano degli incompresi. Gli esami che vengono effettuati sono plurispecialistici. Si indaga la presenza di molestie morali con un colloquio occupazionale molto approfondito, che riguarda l’intera vita lavorativa del soggetto e con un colloquio clinico di tipo specificamente psicologico per analizzare le caratteristiche di personalità e gli approcci relazionali.

I soggetti effettuano una visita neurologica con esami strumentali e accertamenti psicodiagnostici mirati sia a valutare lo stato psichico del soggetto, i danni subiti, sia a raccogliere elementi per una diagnosi differenziale. Oltre ai reattivi tradizionali vengono utilizzati questionari ad hoc che riguardano i disturbi avvertiti, le condizioni di lavoro, le caratteristiche dei rapporti all’interno del mondo dell’organizzazione, i carichi di responsabilità, il carico mentale e fisico, i livelli di stress e di arousal. Ove necessario collabora con noi un medico del lavoro. Tutti questi esami occupano due mattinate intere e una volta elaborati si discutono i risultati e i consigli terapeutici con i soggetti. Nei diversi casi si consiglia una farmacoterapia, una psicoterapia; se è possibile incidere sull’ambiente di lavoro si contatta il medico competente, in alcune situazioni di forte gravità si consiglia il ricorso alle vie legali.

Oltre all’approfondita e articolata fase di diagnosi è compiuta anche quella di supporto e attuazione della terapia?

Per quanto riguarda la farmacoterapia spesso la consigliamo noi direttamente e ne controlliamo il decorso con successivi controlli. Per quanto riguarda la psicoterapia tendiamo a indirizzare i soggetti dove opportuno e possibile, considerando sia gli aspetti di personalità del soggetto sia le sue disponibilità economiche. Nella nostra sede, dalla fine dell’anno scorso, vi sono colleghi che stanno terminando la scuola di psicoterapia quadriennale e, sotto la supervisione dei loro docenti, seguono casi di persone in urgente stato di necessità psicologica e di non disponibilità economica.

È previsto un monitoraggio delle persone da parte vostra o si ripresentano loro a distanza di tempo?

In genere si chiede un controllo a 3, 6 mesi. Nel frattempo a Milano e Roma si sono creati gruppi di autoaiuto, dove le persone possono trovarsi e confrontarsi. Questo ha un forte valore terapeutico, perché permette loro di rendersi conto che non sono gli unici a vivere delle situazioni di mobbing, che anche altri le sperimentano e magari in forme addirittura più negative e drammatiche. Quello che stiamo cercando di favorire è il moltiplicarsi di questi gruppi affinché se ne creai almeno uno per regione e provincia. A Roma anche l’Istituto Nazionale Per la Sicurezza del Lavoro (Ispesl) è diventato un centro di riferimento per coloro che hanno questi problemi, e a loro fa capo il gruppo di autoaiuto romano. Nei prossimi mesi se ne dovrebbe aprire uno anche in Piemonte.

Per riassumere, quali sono i punti di riferimento in Italia per le tematiche relative al mobbing?

Il nostro Centro per il disadattamento lavorativo è un po’ anomalo rispetto a tutte le altre strutture, perché operando in una reltà mista, sia ospedaliera – che dispone di unità di diagnosi e cura – sia universitaria, possiamo non solo fare ricerca ma seguire il paziente da quando ci chiede una visita; fare sia l’inquadramento lavorativo sia gli accertamenti clinici, anche in regime di ricovero per soggetti che vengono da molto lontano, fino ad arrivare al consiglio terapeutico, al controllo successivo e all’inserimento nel gruppo terapeutico dell’associazione di autoaiuto. L’Ispesl non ha la parte clinico-diagnostica ma svolge un ruolo di centralità per l’Italia, ha favorito e contribuito alla creazione dei gruppi di autoaiuto e sostiene la ricerca e il coordinamento tra i gruppi. Infine vi è l’associazione Prima di Bologna, dove è possibile avere un inquadramento del caso e orientamenti sia terapeutici sia eventualmente legali. Al momento non esistono altre realtà operative, ma la situazione sta evolvendo visto l’alto numero di persone vittime di mobbing.

Rispetto al passato è possibile avere qualche evidenza numerica dell’evoluzione della situazione?

Dall’anno scorso direi che abbiamo visto qui a Milano circa 250 persone, rispetto a un numero molto ridotto fino a qualche anno fa. La sensibilizzazione su questa tematica sta crescendo e vengono alla luce situazioni tenute nascoste o incomprese in passato. Da questo punto di vista i media hanno fatto un enorme lavoro con trasmissioni radiofoniche, televisive e articoli su carta stampata.

Per concludere, parlando di numeri aggiungerei l’importanza e la rilevanza che il mobbing ha da un punto di vista economico. Non bisogna infatti dimenticare che la persona vittima di molestie morali, con la perdita di professionalità e le conseguenze psicofisiche cui abbiamo accennato, è un costo sia per l’organizzazione di appartenenza sia, una volta entrata nel percorso della malattia, per l’intera società.

Silvia Bassino

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